Sempre vicini a Pietro per andare verso Gesù

Angela Solferino, avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana

Un grande, inarrestabile, infinito amore per la Chiesa. E’ stato questo il filo conduttore dell’intera vita di Josemaría Escrivá, segnata da un forte spirito di servizio e d’amore per il Papa.

“Ho cominciato ad approfondire il mio rapporto con l’Opus Dei nel 1988 - racconta - dopo essermi iscritta alla facoltà di Diritto Canonico dell’Università Pontificia della Santa Croce. Frequentandola, mi accorsi che in ogni corso si faceva riferimento, con molta coerenza e rispetto, a tutto ciò che veniva dalla dottrina e dal Magistero”.

In questo stile, lei ha trovato l’impronta di Josemaría Escrivá?

Un’impronta chiarissima. Il fondatore dell’Opera sognava un’università che permettesse a tutti, sia laici che sacerdoti, di assorbire come una spugna gli insegnamenti della Chiesa. E che si trovasse proprio a Roma, la città del Papa. Escrivá diceva sempre che ‘più si conosce la Chiesa, e più la si ama’. Più si rimane coerenti, e più si è consapevoli della nostra funzione di cristiani nel mondo.

C’è qualche episodio che testimonia l’amore del fondatore per la Chiesa?

“Ce ne sono tantissimi, perché l’intera vita di Josemaría Escrivá si può considerare una testimonianza di questo amore. In particolare, mi ha colpito un episodio che è stato raccontato da Alvaro Del Portillo, primo successore di Josemaría Escrivá. Il 23 giugno 1946, Escrivá giunse in Italia, a Genova, dopo un tormentato viaggio in nave, dalla Spagna. Alvaro Del Portillo venne a prenderlo, per accompagnarlo a Roma in automobile. Appena Escrivá vide la cupola di San Pietro, lo invitò a recitare con lui il Credo, come segno di piena fedeltà alla Chiesa cattolica. I due, poi, si recarono in un appartamento nei pressi del Vaticano. Quella notte, Josemaría Escrivá restò sveglio a pregare sul balcone, con lo sguardo rivolto verso San Pietro. Questi semplici gesti di devozione sono il segno del suo profondo legame con la Chiesa e con il Papa”.

Josemaría Escrivá mantenne per sempre questo spirito di fedeltà ed obbedienza, nonostante le difficoltà che incontrò sul suo cammino?

Sempre. Visse la sua missione di sacerdote nella piena obbedienza alla Chiesa e non si arrese mai di fronte alle avversità. Nel 1928, Escrivá ‘vide’ quella che sarebbe diventata l’Opus Dei. Per quei tempi, l’idea di una santificazione attraverso le circostanze ordinarie della vita quotidiana rappresentava una grande novità. E quindi, incontrò qualche incomprensione.

Come reagiva, Escrivá, di fronte a certi ostacoli?

Con grande umiltà. Si rivolgeva al Signore dicendo: ‘Se l’Opus Dei non ti serve, distruggila’. In queste parole, rivolte a Dio con la tenerezza di un figlio, si può scorgere il suo desiderio di muoversi in piena armonia con la Chiesa. Lui non voleva fare una rivoluzione, o chiedere alla Curia Romana l’approvazione di qualcosa che non fosse utile per il popolo di Dio. La sua volontà era sempre stata quella di operare con autentico spirito di servizio. Non a caso, Escrivá diceva che ‘per servire, bisogna servire’. E’ necessario servire la Chiesa nel modo in cui essa desidera essere servita.

Qual era il suo rapporto con la figura del Papa?

Josemaría Escrivá ripeteva spesso una frase molto bella: ‘Sempre vicini a Pietro, andiamo verso Gesù, con l’aiuto della Madonna’. In questo modo, riassumeva i più grandi amori della sua vita. Oltre all’idea della filiazione divina, sottolineava molto la necessità d’essere sempre al fianco del Papa, in quanto Vicario di Cristo in terra. Per questa ragione, invitava sempre a recitare preghiere per il Santo Padre.

Lei, come laica, quale messaggio sente d’aver ricevuto da Josemaría Escrivá?

“La piena consapevolezza di far parte del corpo mistico di Cristo. Un corpo vivo, in cui il cuore deve battere e il sangue deve circolare. In “Cammino”, la sua opera più nota, Escrivá ci invita a ‘lasciare traccia’ e ad ‘incendiare i cammini della terra con il fuoco di Cristo che portiamo nel cuore’. E’ questo il senso del nostro ‘essere Chiesa’”.