Recensione: "Josemaría Escrivá. Una libertà da vivere"

Andrea Mardegan ha raccolto un’ampia selezione di testi tra gli scritti pubblicati di san Josemaría che mettono in luce esaurientemente l’originalità della sua riflessione su un argomento che egli considerava centrale nell’ascetica cristiana: la libertà.

Agli studi che vanno approfondendo l’insegnamento di san Josemaría si aggiunge ora un’opera di carattere antologico sul suo pensiero circa la libertà. Come si sa, ogni antologia ben fatta ha dietro uno studio rigoroso per poter illustrare con il brano più adatto ogni aspetto della questione in esame. È ciò che ha fatto Andrea Mardegan, raccogliendo un’ampia selezione di testi tra gli scritti pubblicati di san Josemaría che mettono in luce esaurientemente l’originalità della sua riflessione su un argomento che egli considerava centrale nell’ascetica cristiana.

Non è la prima volta, naturalmente, che viene visitato questo argomento nella dottrina di san Josemaría. Ne fu pioniere Cornelio Fabro all’indomani della morte del santo (cfr. Cornelio Fabro, "Un maestro di libertà cristiana: Josemaría Escrivá de Balaguer", in L’Osservatore Romano, 2 luglio 1977; cfr. anche C. Fabro - S. Garofalo - M.A. Raschini, Santi nel mondo: studi sugli scritti del beato Josemaría Escrivá, Ares, Milano 1992, pp. 70-74); tra i contributi recenti va ricordato il saggio di Lluis Clavell, "La libertà conquistata da Cristo sulla Croce. Approccio teologico ad alcuni insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá" (Romana, Bollettino della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, 17 [2001], pp. 240-269), comprensivo di un’ampia bibliografia. A questi lavori si rimanda il lettore che voglia approfondire il tema sul piano teoretico, mentre in questa sede ci soffermiamo a riassumere, per quanto possibile, la silloge curata da Mardegan che, tra le altre cose, ha il vantaggio della presa diretta con la voce del santo fondatore nelle molte sfumature che un discorso tanto complesso richiede. Non è la prima antologia che Andrea Mardegan compila del pensiero di san Josemaría, avendo già dato alle stampe quella su un altro tema-caposaldo: la filiazione divina del fedele.

Il presente libro si avvale di una prefazione del prelato dell’Opus Dei, mons. Javier Echevarría, nella quale egli racconta da testimone diversi episodi significativi dell’amore di san Josemaría alla libertà. «San Josemaría diffondeva attorno a sé un clima di libertà spirituale», egli scrive, ed è questa una frase che coglie nel pieno la questione, poiché il santo non fu autore teorico di teologia spirituale o pastorale, ma rimase sempre un pastore, una guida concreta di anime concrete, volto a calare la dottrina nella vita.

Vediamo a grandi linee i principali aspetti trattati da san Josemaría, che in pratica corrispondono all’organizzazione della materia da parte di Mardegan.

La prima grande apertura che san Josemaría fa è derivare la meditazione sulla libertà umana dalla “libertà di Dio”. Se l’uomo è immagine e somiglianza di Dio in quanto essere razionale e libero, diventa importante per lui conoscere come Dio “esercita” la sua libertà infinita. Ed ecco la risposta:

a) «La Trinità beatissima trae dal nulla il mondo e l’uomo, in un libero slancio d’amore» (Amici di Dio, 25).

b) «Il Verbo scende dal Cielo e assume la nostra carne con lo splendido sigillo della libertà nella sottomissione: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà (Eb 10, 7)» (Amici di Dio, 25).

Dio, che è la libertà somma non dovendo il suo essere a nessun altro, crea per pura liberalità. E con la stessa liberalità il Verbo si consegna all’obbedienza e alla morte per redimere le creature dal peccato. «Non riusciremo mai a capire fino in fondo la libertà di Gesù Cristo, immensa – infinita – come il suo amore» (Amici di Dio, 25). Eppure proprio il fatto che Cristo “investe” la sua libertà nell’obbedienza al Padre, per amore, ci offre la più chiara lettura del senso della nostra libertà.

A questo punto san Josemaría, con il suo forte spirito contemplativo, s’intrattiene a considerare diversi aspetti della volontaria umiliazione del Verbo (cfr. Fil 2, 8), perché offrono un parametro imitabile dall’uomo in grazia. Medita così sulle tentazioni nel deserto e sulla vittoria di Gesù sul demonio, vittoria della libertà ben impiegata (cfr. È Gesù che passa, 61). Vede l’Eucaristia come l’apice della donazione di Cristo ai suoi, che lo porta a rimanere sacramentalmente in mezzo ad essi (cfr. Ibid. 83). Ma si sofferma particolarmente sul carattere volontario del sacrificio di Cristo:

«È stato L’Amore a portare Gesù al Calvario. E, ormai in Croce, tutti i suoi gesti e tutte le sue parole sono di amore, di amore sereno e forte. Con gesto di Sacerdote eterno, senza padre e senza madre, senza genealogia (cfr. Eb 7, 3), apre le sue braccia a tutta l’umanità» (Via Crucis, XI). «Ha sofferto quanto ha potuto – e, essendo Dio, poteva molto! – ma amava più di quanto soffrisse» (Ibid. XII).

Dio ha creato l’uomo libero proprio perché questi lo potesse amare ricambiando il suo amore. Perciò è ben lontana dal pensiero di san Josemaría la riduzione della libertà umana al solo libero arbitrio, come se gli uomini fossero stati lasciati su un campo di prova e alla fine premiati o puniti per le loro prestazioni. La libertà va invece intesa come capacità di amare Dio e, per Lui, il prossimo, a esempio di Cristo. Le scelte dell’uomo non si misurano soltanto in base a una maggiore o minore “correttezza” rispetto alla legge di Dio, ma hanno sempre il valore trascendente di accettazione o rifiuto del suo destino eterno. «La libertà acquista il suo autentico significato quando viene esercitata al servizio della verità che redime, quando è spesa alla ricerca dell’Amore infinito di Dio, che ci scioglie da ogni schiavitù. Cresce in me di giorno in giorno l’impulso di proclamare a gran voce l’insondabile ricchezza del cristiano: “la libertà della gloria dei figli di Dio!” (Rm 8,21)» (Amici di Dio, 27).

In questo senso la libertà è una crescita che va di pari passo con la crescita dell’amor di Dio nell’anima. E pertanto, «finché dura il nostro passaggio sulla terra nessuno può dire di aver raggiunto la pienezza della propria libertà» (Ibid. 36).

Tra gli atteggiamenti vitali che una tale visione comporta, va annoverato l’amore per questo mondo, un amore che san Josemaría non esitava a chiamare «appassionato». «Il Signore ha voluto che noi suoi figli, che abbiamo ricevuto il dono della fede, manifestiamo l’originaria visione ottimistica della creazione, l’“amore per il mondo” che palpita nel cristianesimo» (Forgia, 703).

Mardegan inserisce a questo punto della silloge la famosa questione della «libertà di coscienza» e la «libertà delle coscienze», che oggi richiede qualche spiegazione. Iniziamo leggendo le parole del santo, in questo caso prese da Amici di Dio anche se affrontò l’argomento in molti suoi scritti. «Quando nella mia attività sacerdotale, ormai lunga, non solo predico, ma addirittura grido il mio amore alla libertà personale, noto in qualcuno un gesto di diffidenza, come se si possa sospettare che la difesa della libertà comporti un pericolo per la fede. Non si inquietino, i pusillanimi. Porta attentati alla fede soltanto un’errata interpretazione della libertà, una libertà senza scopo, senza norma oggettiva, senza legge, senza responsabilità. In una parola: il libertinaggio. Purtroppo, è di questo che molti si fanno propugnatori; e questa rivendicazione effettivamente è un attentato alla fede.

Pertanto, non è esatto parlare di “libertà di coscienza”, nel senso di considerare moralmente valido che l’uomo respinga Dio. Abbiamo già ricordato che possiamo opporci ai disegni di salvezza del Signore; lo possiamo, ma non lo dobbiamo fare. E se qualcuno deliberatamente assumesse tale atteggiamento, peccherebbe trasgredendo il primo e fondamentale comandamento: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore (Dt 6,5). Difendo invece con tutte le mie forze la libertà delle coscienze (Leone XIII, enc. Libertas Prestantissimum, 20-VI-1888, ASS 20, 606), che sta a significare che a nessuno è lecito impedire che la creatura renda il culto a Dio. Bisogna rispettare i legittimi desideri di verità: l’uomo ha l’obbligo grave di cercare il Signore, di conoscerlo e di adorarlo, ma nessuno sulla terra deve permettersi di imporre agli altri una fede che non hanno; e, reciprocamente, nessuno può arrogarsi il diritto di porre

ostacoli a chi ha ricevuto la fede da Dio» (Amici di Dio, 32).

Il Concilio Vaticano II, affrontando l’argomento dell’autonomia delle realtà temporali, ha ricordato il radicale ordinamento a Dio di tutto ciò che è creato: «Se con l’espressione “autonomia delle realtà temporali” si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni» (Gaudium et Spes, 36). In questo senso la coscienza non è libera di allontanarsi dal progetto divino con libertà di diritto benché possa farlo de facto. È in questo senso che san Josemaría non approvava la «libertà di coscienza». Tuttavia nel linguaggio ordinario, anche nelle teologia, oggi si intende per «libertà di coscienza» quello che egli intendeva sotto il nome di «libertà delle coscienze», e cioè il diritto di ogni uomo di non subire costrizioni nell’esercizio della sua religiosità e del suo pensiero.

Nella seconda parte del libro si analizza la libertà umana come conseguenza della fede liberatrice. «Quando l’uomo vive veramente di fede, allora e solo allora riceve con pienezza il grande fuoco, la grande luce, la grande consolazione dello Spirito Santo. Ed è allora che vengono date all’anima anche la pace e la libertà che Cristo ci ha conquistato» (È Gesù che passa, 137). Siamo nel pieno del paradosso cristiano: morire per vivere, umiliarsi per essere elevato, abbandonarsi per essere fortificato. «Non ti eri mai sentito più assolutamente libero di adesso, quando la tua libertà è tessuta di amore e di distacco, di sicurezza e di insicurezza: perché non ti fidi per niente di te, e ti fidi in tutto di Dio» (Solco, 787). E sempre nello stesso Solco troviamo la soluzione al dilemma libertà-sottomissione: «Amare è... non albergare che un solo pensiero, vivere per la persona amata, non appartenersi, essere felicemente e liberamente sottomesso, anima e cuore, a una volontà estranea... e, al tempo stesso, propria» (Solco, 797).

Inoltre l’amor di Dio libera dal peccato, che è la peggiore tirannia: «la religione è la più grande ribellione dell’uomo che non si rassegna a vivere come una bestia, dell’uomo che non si adatta – non si dà pace – finché non conosce e non stabilisce una comunicazione con il suo Creatore» (Colloqui, 73). Almeno due conseguenze pratiche derivano da questa visione della religione come massimo grido di libertà. La prima, che l’obbedienza non è in contrasto con la libertà: «I figli di Dio non sono né pietre né cadaveri: sono esseri intelligenti e liberi, elevati tutti al medesimo ordine soprannaturale» (Colloqui, 2). La seconda è un profondo rispetto della varietà all’interno della Chiesa, perché ciascuna anima deve trovare il suo personale modo di

rapportarsi a Dio. «Ti stupivi perché approvavo la mancanza di “uniformità” nell’apostolato in cui lavori. E ti ho detto: Unità e varietà. – Dovete essere diversi come diversi sono i santi nel cielo, ognuno dei quali ha le sue proprie note personali e specialissime. E, anche, dovete assomigliare gli uni agli altri come i santi, che non sarebbero santi se ognuno di loro non si fosse identificato con Cristo» (Cammino, 947). A questo riguardo va ricordato come san Josemaría non amasse imporre e nemmeno consigliare metodiche di vita interiore, cosa di per sé legittima e praticata da molti santi. «Ognuno di voi, se vuole, può trovare la sua propria via per questo colloquio con Dio. Non mi piace parlare di metodi o di formule, perché non mi è mai garbato costringere la gente dentro schemi rigidi: ho cercato di aiutare tutti ad avvicinarsi al Signore rispettando ogni anima così com’è, con le sue caratteristiche proprie» (Amici di Dio, 249). E quando proponeva un piano di vita spirituale aveva cura di ricordare che non si tratta di norme rigide e che deve adattarsi alla persona “come un guanto si adatta alla mano”.

Forse una terza conseguenza si può indicare: anche in mezzo alle disgrazie e al dolore, il cristiano non si sente costretto a un’accettazione cieca, ma sa vedere in essi un altro lato del poliedrico amore di Dio. Gli basta pensare a Cristo crocifisso, Dio che soffre e muore. Così, «il contegno di un figlio di Dio non è quello di chi si rassegna a una tragica sventura, quanto piuttosto di chi si rallegra pregustando la vittoria. In nome dell’amore vittorioso di Cristo, noi cristiani dobbiamo percorrere tutti i cammini della terra per essere, con le parole e le opere, seminatori di pace e di gioia. Dobbiamo lottare in questa guerra di pace contro il male, l’ingiustizia, il peccato, proclamando che l’attuale condizione umana non è quella definitiva e che l’amore di Dio manifestato nel Cuore di Cristo otterrà il glorioso trionfo spirituale degli uomini» (È Gesù che passa, 168).

La terza parte va sotto l’eloquente titolo de La libertà come traguardo, ed è per così dire la parte ascetica del discorso. Se Dio ha liberato l’uomo dal peccato sul piano della giustificazione, egli deve impegnarsi nella realizzazione concreta di tale libertà, svincolandosi dalle catene di vizi e peccati che lo tengono prigioniero. «È molto agevole lasciarsi trasportare dagli impulsi che vengono chiamati naturali; ma al termine della loro corsa non si trova altro che la tristezza, l’isolamento nella propria miseria. Alcuni non vogliono negare nulla allo stomaco, o agli occhi, o alle mani; non ascoltano il consiglio di vivere una vita pulita. Usano la facoltà di generare – una realtà nobile, partecipazione al potere creatore di Dio – in modo disordinato, come uno strumento al servizio dell’egoismo» (Amici di Dio, 84).

Rientra qui l’insistenza di san Josemaría sulla pratica delle virtù umane, sulla mortificazione, sulla lotta interiore. Ma anche il tono di fiducia in Dio e di pace interiore che questa lotta deve avere. Ricordava volentieri le parole di san Paolo: «quando sono debole, allora sono forte». E insegnava a ripetere: «Gesù, mi abbandono nelle tue braccia» (Forgia, 306).

Occorre liberarsi dalla paura che conduce all’anonimato e a non voler guardare Cristo faccia a faccia (cfr. Solco, 456). Liberarsi dal giudizio degli altri, che spesso attanaglia delle anime anche generose. «Quando è in gioco la difesa della verità, come si può desiderare di non dispiacere a Dio e, al tempo stesso, di non scontrarsi con l’ambiente? Sono cose contrapposte: o l’una o l’altra! È necessario che il sacrificio sia olocausto: bisogna bruciare tutto..., persino il “che cosa diranno”, persino la cosiddetta reputazione» (Solco, 34).

Il cristiano si sottopone volontariamente a questa purificazione che lo Spirito Santo va operando nella sua anima. E sotto il prisma della libertà vengono affrontati temi classici dell’ascetica cristiana come il distacco dalle cose di questo mondo: «La nostra volontà deve seguire questa regola chiara e precisa: “Signore, voglio questo o quest’altro soltanto se a Te piace; altrimenti, che me ne faccio?”. In questo modo assestiamo un colpo mortale all’egoismo e alla vanità che serpeggiano in ogni coscienza, e nel contempo raggiungiamo la vera pace dell’anima, con un distacco che conduce al possesso di Dio, sempre più intimo e intenso» (Amici di Dio, 114). Evangelicamente distaccato, il cristiano non si lascia travolgere dalle preoccupazioni, neanche quando queste riguardano eventuali «fallimenti» nel suo impegno, perché fiducioso della sapienza paterna di Dio.

«La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio […] e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21). Con questa panoramica paolina si apre l’ultima parte della silloge: Costruire un clima di libertà. San Paolo cerca di penetrare le profondità alla redenzione. Sant’Ambrogio gli fa eco quasi vedendo con gli occhi la definitiva e universale liberazione: «Ci sarà un’unica libertà, quella della creazione e quella dei figli di Dio, allorché sarà manifestata la loro gloria» (Epist. XXXV, 5: PL 16, 1079). Ma è anche vero che la manifestazione dei figli di Dio, così com’è possibile in questo tempo, comporta naturalmente un clima di libertà intorno a loro. La tirannia, la costrizione, la schiavitù, non sono da Dio.

Libertà, prima di tutto, interiore: «La vita cristiana non va mai ridotta a un opprimente intrico di doveri, che sottopone l’anima a un’esasperata tensione» (Amici di Dio, 137). Ma poi, appassionato amore alla libertà degli altri. C’è nell’azione apostolica una tensione pedagogica per la libertà. San Josemaría insisteva presso educatori e soprattutto genitori sull’educazione nella libertà e alla libertà, ponendosi così indirettamente nell’avanguardia pedagogica.

Difesa appassionata della libertà, infine, nell’ambito civile. Non gradiva la “mentalità da partito unico”, in qualsiasi terreno, e non solo perché la diversità è una ricchezza, ma perché nessuno deve sentirsi costretto a pensare in determinato modo o venire escluso a causa delle proprie legittime scelte. Ecco, in chiusura, una pagina accorata di san Josemaría:

«Dal momento che, eccettuando il peccato, il mondo e quanto vi è in esso è buono, perché è opera di Dio nostro Signore, il cristiano, conducendo costantemente una lotta positiva d’amore per non offendere Dio, deve impegnarsi in tutte le attività terrene, gomito a gomito con i suoi simili, e deve difendere tutti i beni che la dignità della persona porta con sé. Ne esiste uno che bisogna sempre ricercare in modo particolare: la libertà personale. Solo quando si difende la libertà individuale degli altri, pur esigendo la corrispondente responsabilità personale, è possibile difendere onestamente e cristianamente la propria libertà. Torno a ripetere, e ripeterò sempre, che il Signore, che ci ha fatto gratuitamente un grande dono soprannaturale – la grazia divina – ci ha dato anche un gran bene naturale: la libertà personale, che per non corrompersi e diventare libertinaggio, ci richiede integrità, impegno efficace di comportarci secondo la legge divina, perché “dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor 3,17).

«Il Regno di Cristo è regno di libertà: in esso non vi sono altri servi all’infuori di coloro che liberamente si incatenano per Amore a Dio. Benedetta schiavitù d’amore che ci fa liberi! Senza libertà è impossibile corrispondere alla grazia, ed è quindi impossibile darci al Signore per il più soprannaturale dei motivi: perché ne abbiamo voglia.

«Quanti di voi mi conoscono da più anni, possono essermi testimoni che ho sempre predicato il criterio della libertà personale e della corrispondente responsabilità. Ho cercato e cerco la libertà, per tutta la terra, come Diogene cercava l’uomo. L’amo ogni giorno di più, l’amo al di sopra di tutte le cose terrene: è un tesoro che non apprezzeremo mai abbastanza» (È Gesù che passa, 184).

La forza della presa diretta, si diceva all’inizio. In effetti, con questa organizzazione della materia, Mardegan ci permette di ascoltare dalla voce del fondatore un discorso a tutto tondo sulla libertà cristiana, che riunisce la completezza del trattato e la semplicità del discorso confidenziale. L’utilità del libro va perciò dal sussidio per la meditazione personale al materiale per la ricerca teologica.

Andrea Márdegan (a cura di), Josemaría Escrivá. Una libertà da vivere, Presentazione di Javier Echevarría, Milano, Paoline 2004, 262 pp.