Passione per la libertà

L’amore alla libertà fu, insieme al buon umore, una caratteristica dominante della personalità di san Josemaría.

“Perché ne ho voglia…” con questa frase decisa e espressiva, Josemaría Escrivá sintetizzava la risposta del credente, capace di impegnare la sua vita mettendo da parte i condizionamenti e i compromessi propri dell’egoismo.

L’amore alla libertà fu, a mio giudizio, insieme al buon umore, una caratteristica dominante della sua personalità.

Ciò mi apparve evidente già nel 1956, anno dei miei primi contatti con membri dell’Opus Dei a Madrid: la passione per la libertà non era esclusiva dei miei indimenticabili maestri e professori universitari, bensì patrimonio del cristiano. In quel piccolo appartamento di Gurtubay migliorai la mia comprensione della spontaneità e appresi cosa fosse il pluralismo, un termine che non veniva quasi mai adoperato nella Spagna di allora. Mons. Escrivà affermava che “come conseguenza del fine esclusivamente divino dell’Opera, il suo spirito è uno spirito di libertà, di amore alla libertà personale di tutti gli uomini. Dal momento che questo amore alla libertà è sincero e non un semplice enunciato teorico, noi amiamo la necessaria conseguenza della libertà: ovvero il pluralismo. Nell’Opus Dei il pluralismo è voluto e amato, non semplicemente tollerato e in alcun modo ostacolato”. (Colloqui con Mons. Escrivá de Balaguer, 67).

Un minimo di libertà

Quando lo conobbi un giorno del settembre 1960 circondato da universitari nel piccolissimo giardino del Collegio Universitario Aralar di Pamplona, qualcuno gli chiese quando sarebbe iniziato il lavoro dell’Opus Dei nei paesi dell’Est. La risposta sgorgò immediata: “Quando ci sarà un minimo di libertà”. Aveva sofferto sulla propria pelle la persecuzione religiosa per motivi ideologici e non poteva quindi inviare irresponsabilmente qualcuno a lavorare sotto regimi che ignoravano la libertà delle coscienze e praticavano, in cambio, diversi tipi di “lavaggio del cervello”. Non era questione di congiunture storiche, erano in gioco ragioni profonde: “Senza libertà non si può amare Dio”, insegnava. La facoltà di scegliere Dio senza costrizione alcuna o rifiutarlo è suprema manifestazione di arbitrio e con ogni probabilità radice profonda degli altri diritti umani, come si deduce dal Concilio Vaticano II, attento promotore della dignità della persona.

Al primo posto la persona

Essere aperto era un elemento dominante della personalità di Mons. Escrivà. Le diverse sfaccettature del suo carattere e dell’intimità della sua anima sono molto intrecciate. Mi sembra, però, di avvertire un ritornello costante che accentua – senza opposizioni dialettiche, con spirito solidale – la priorità della persona rispetto al gruppo, dell’iniziativa sul controllo, dell’arbitrio sulla disciplina, della spontaneità sull’organizzazione. Si può collegare questo primato della persona e della sua libertà alle radici aragonesi e al temperamento di Josemaría Escrivá; ma ciò che lo rende adamantino è il suo radicarsi nella fede cattolica: l’affermazione di ciò che è divino non comporta il sottovalutare ciò che è terreno; al contrario, rifiutare o impoverire le realtà create denoterebbe forse un disprezzo inavvertito per Dio creatore, che trabocca di amore per le sue creature. Al centro di ciò che è terreno si trova l’uomo, oggetto dell’amore divino secondo il nuovo titolo della Redenzione. Se Gesù ha donato la sua vita per tutti, ogni uomo – ciascuno, singolarmente - vale il sangue di Cristo, ha un prezzo infinito. In definitiva, soltanto essendo molto umani si può essere molto divini; e al contrario, le profonde lotte dello spirito non annullano, bensì potenziano, la propria personalità.

Libertà, dono di Dio

”La libertà, dono di Dio”: così intitolò il fondatore dell’Opus Dei una sua omelia del 1956, nella quale evoca il tono affabile con il quale Gesù parla agli uomini della Palestina, senza mai pretendere di imporsi, come sintetizza la scena del giovane ricco: “Se vuoi esser perfetto…”. Il ragazzo se ne andò triste: “perse l’allegria perché non volle donare la sua libertà a Dio”. Invece, la donazione cristiana è legame gioioso, spontaneità amorosa, libertà di figlio e non di schiavo. Nel 1985, Cornelio Fabro mise in risalto l’innovazione che comportavano questi insegnamenti, anche nei confronti del pensiero moderno: “Uomo nuovo per i tempi nuovi della chiesa del futuro, Josemaría Escrivá ha afferrato per una specie di connaturalità — e anche senza dubbio grazie ad una luce soprannaturale — la nozione originaria di libertà cristiana. Immerso nell’annuncio evangelico di libertà intesa come liberazione dalla schiavitù del peccato, confida nel credente in Cristo e, dopo secoli di spiritualità cristiane basate sulla priorità dell’obbedienza, inverte la situazione e fa dell’obbedienza un atteggiamento e una conseguenza della libertà, come un frutto del suo fiore o, più profondamente, della sua radice”. Sono stato vicino al fondatore dell’Opus Dei in diverse occasioni della mia vita. Era palese il suo spirito di comprensione. La sua tempra accogliente respingeva totalmente le cautele negative, i sospetti timorosi, i confronti, le squalifiche globali, le attitudini incompatibili con un cuore cristiano, perché “colui che ha paura non sa amare”, come traduceva liberamente il famoso passo della prima lettera di san Giovanni apostolo. Il fatto è che l’amore cristiano, aggiungeva il fondatore, “mira, innanzitutto, a rispettare e comprendere ogni individuo in quanto tale, nella sua intrinseca dignità di uomo e di figlio del Creatore”. Un altro aspetto della sua personalità che mi colpì molto, quando lo conobbi nel 1960, fu che senza libertà non si può amare Dio né costruire la convivenza. Dalla pienezza del cuore innamorato viene l’impegno sociale, con spontaneità e pluralismo; in definitiva, la comprensione e la fiducia nell’uomo sono le fonti delle libertà, ben lungi da ogni pessimismo antropologico.

Libertà e convivenza

Ricordo la forza con la quale spiegava a Tajamar a persone di Vallecas, un quartiere operaio di Madrid, la libertà delle coscienze, una domenica del 1967: nessuno può scegliere per noi; ogni anima è padrona del suo proprio destino. Le sue parole rifiutavano totalmente l’anonimato, tanto nella lotta interiore quanto nel rapporto con gli altri. Ciascuno si gioca la sua propria vita. Per questo, nella Prelatura dell’Opus Dei si coniuga l’io: i fedeli dell’Opera non vanno in gruppo, bensì aperti a ventaglio. Lottano — nonostante gli evidenti difetti personali — per santificarsi nel proprio posto nel mondo. Senza libertà, non è possibile la convivenza pacifica tra i cittadini.

Alcuni hanno interpretato male quel punto di Cammino sulla “santa coazione”, che stimola la responsabilità apostolica e spirituale dei cristiani, allontanandoli dalla comodità e dall’indifferenza. Risuona l’eco del “compelle entrare” — spingili ad entrare — con il quale sono chiamati gli invitati alle nozze nella parabola evangelica. Questa “coazione” non ha niente a che vedere con la politica, né comporta violenza fisica o morale: riflette l’impeto dell’esempio cristiano, canale della grazia di Dio. Era ben lontano dal servilismo umano colui che scriveva in Solco (397) forti parole sull’autoritarismo dittatoriale. Mi emozionai molto in un atto accademico celebrato a Pamplona, il 7 ottobre del 1972. Lo concludeva Mons. Josemaría Escrivá, come Gran Cancelliere dell’Università di Navarra. In un passo del suo discorso, gli uscì dall’anima la sua mentalità giuridica, amante delle libertà: “il Diritto ordina secondo giustizia la convivenza degli uomini e dei popoli, e garantisce contro gli abusi e le tirannie di coloro che vorrebbero vivere o governare secondo il loro proprio arbitrio o la loro forza prepotente”.

Libertà, quindi, nella vita politica e sociale. Apertura anche nella scienza e nella cultura. Non ci sono fideismi che valgano, né clericalismi o fondamentalismi: perché non ci sono dogmi nelle cose temporali. Come intitolava «La Stampa» di Torino nel contesto della sua beatificazione, Josemaría Escrivá sarà un santo “anticlericale”…questo vuol dire che lottò per difendere – con anima sacerdotale: non è un gioco di parole – l’autentica mentalità laicale, che porta – non occorre ripetere un suo testo molte volte ascoltato – “a essere sufficientemente onesto per assumersi le proprie responsabilità personali; a essere sufficientemente cristiani, per rispettare i fratelli nella fede, che propongono – in ciò che è opinabile – soluzioni diverse….; a essere sufficientemente cattolici, per non servirsi della nostra Madre la Chiesa, mescolandola in partitismi umani”.

Josemaría Escrivá non fu un sacerdote fazioso durante la II Repubblica spagnola, né alzò il braccio nel dopoguerra. Cercò di alimentare la pace e la comprensione prima, dopo e sempre. Difese la libertà delle coscienze. Non ammise la violenza: “non mi sembra adatta – dichiarava nel 1966 a «Le Figaro» — né per convincere né per vincere; l’errore si supera con l’orazione, con la grazie di Dio, con lo studio; mai con la forza, sempre con la carità”.

Senza una scuola propria

Infine, la libertà permea la teologia e le scienze ecclesiastiche. Non c’è una scuola dell’Opus Dei, neppure nelle Facoltà di Teologia o Diritto Canonico di Navarra o di Roma. Come raccoglie sinteticamente Solco, al punto 428:

“Per te, che desideri formarti una mentalità cattolica, universale, trascrivo alcune caratteristiche:

— ampiezza di orizzonti, e un vigoroso approfondimento, in quello che c'è di perennemente vivo nell'ortodossia cattolica;

— anelito retto e sano — mai frivolezza — di rinnovare le dottrine tipiche del pensiero tradizionale, nella filosofia e nell'interpretazione della storia...;

— una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del pensiero contemporanei;

un atteggiamento positivo e aperto di fronte all'odierna trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita”.

Josemaría Escrivá vibrava davanti alla libertà, questo gran privilegio dell’uomo, che aleggia nei misteri della fede, senza disconoscere il suo chiaroscuro. Non tralasciò di alludere con realismo a triste dicerie che conducono a tragiche schiavitù. Diresse l’Opus Dei con prudenti norme pastorali. Senza pessimismo alcuno manifestò un profondo amore alla libertà degli altri, convinto che la comprensione e la fiducia sono il fondamento di una convivenza armonica e con chiunque. Torno alla frase con la quale ho cominciato questo articolo. Nel 1964 chiesero a Mons. Escrivà nel teatro Gayarre di Pamplona: “Quale posizione hanno i membri dell’Opus Dei nella vita pubblica delle nazioni?” La risposta, interrotta da una spontanea ovazione, cominciò con queste sincere parole: “Quella che vogliono!”. Così, sempre e in tutto.

Un personaggio da scoprire, Edizioni Palabra