«Siate forti nella fede! Non abbiate paura!»

Riportiamo alcuni dei discorsi e omelie tenuti da Papa Francesco nel suo viaggio in Kenia

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN KENYA

SANTA MESSA

Campus dell'Università di Nairobi (Kenya), Giovedì, 26 novembre 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE

La parola di Dio parla alle profondità del nostro cuore. Oggi Dio ci dice che gli apparteniamo. Egli ci ha fatti, noi siamo la sua famiglia e per noi Lui sarà sempre presente. “Non temete – Egli ci dice –: io vi ho scelti e prometto di darvi la mia benedizione” (cfr Is 44,2-3).

Abbiamo ascoltato questa promessa nella prima Lettura. Il Signore ci dice che farà sgorgare acqua nel deserto, in una terra assetata; Egli farà sì che i figli del suo popolo fioriscano come erba e come salici lussureggianti. Sappiamo che questa profezia si è adempiuta con l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. Ma vediamo anche che essa si compie dovunque il Vangelo è predicato e nuovi popoli diventano membra della famiglia di Dio, la Chiesa. Oggi ci rallegriamo perché si è realizzata in questa terra. Mediante la predicazione del Vangelo, tutti noi siamo diventati partecipi della grande famiglia cristiana.

La salute di qualsiasi società dipende sempre dalla salute delle famiglie

La profezia di Isaia ci invita a guardare alle nostre famiglie e a renderci conto di quanto siano importanti nel piano di Dio. La società del Kenya è stata a lungo benedetta con una solida vita familiare, con un profondo rispetto per la saggezza degli anziani e con l’amore verso i bambini. La salute di qualsiasi società dipende sempre dalla salute delle famiglie. Per il bene loro e della comunità, la fede nella Parola di Dio ci chiama a sostenere le famiglie nella loro missione all’interno della società, ad accogliere i bambini come una benedizione per il nostro mondo e a difendere la dignità di ogni uomo e di ogni donna, poiché tutti noi siamo fratelli e sorelle nell’unica famiglia umana.

In obbedienza alla Parola di Dio, siamo anche chiamati ad opporre resistenza alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini, feriscono o disprezzano le donne, non curano gli anziani e minacciano la vita degli innocenti non ancora nati. Siamo chiamati a rispettarci e incoraggiarci a vicenda e a raggiungere tutti coloro che si trovano nel bisogno. Le famiglie cristiane hanno questa missione speciale: irradiare l’amore di Dio e riversare l’acqua vivificante del suo Spirito. Questo è particolarmente importante oggi, perché assistiamo all’avanzata di nuovi deserti, creati da una cultura dell’egoismo e dell’indifferenza verso gli altri.

Rigettate tutto ciò che conduce al pregiudizio e alla discriminazione, perché queste cose – lo sappiamo – non sono di Dio.

Qui, nel cuore di questa Università, dove le menti e i cuori delle nuove generazioni vengono formati, faccio appello in modo speciale ai giovani della nazione. I grandi valori della tradizione africana, la saggezza e la verità della Parola di Dio e il generoso idealismo della vostra giovinezza vi guidino nell’impegno di formare una società che sia sempre più giusta, inclusiva e rispettosa della dignità umana. Vi stiano sempre a cuore le necessità dei poveri; rigettate tutto ciò che conduce al pregiudizio e alla discriminazione, perché queste cose – lo sappiamo – non sono di Dio.

Tutti conosciamo bene la parabola di Gesù a proposito dell’uomo che costruì la sua casa sulla sabbia invece che sulla roccia. Quando soffiarono i venti, essa cadde e la sua rovina fu grande (cfr Mt 7,24-27). Dio è la roccia sulla quale siamo chiamati a costruire. Egli ce lo dice nella prima Lettura e ci chiede: «C’è forse un dio fuori di me?» (Is 44,8).

Quando Gesù Risorto afferma, nel Vangelo di oggi: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18), ci dice che Lui stesso, il Figlio di Dio, è la roccia. Non c’è nessuno oltre a Lui. Unico Salvatore dell’umanità, desidera attirare uomini e donne di ogni epoca e luogo a Sé, così da poterli portare al Padre. Egli vuole che tutti noi costruiamo la nostra vita sul saldo fondamento della sua parola.

Questo è il compito che il Signore assegna a ciascuno di noi. Ci chiede di essere discepoli missionari, uomini e donne che irradino la verità, la bellezza e la potenza del Vangelo che trasforma la vita. Uomini e donne che siano canali della grazia di Dio, che permettano alla sua misericordia, benevolenza e verità di diventare gli elementi per costruire una casa che rimanga salda. Una casa che sia un focolare, dove fratelli e sorelle vivano finalmente in armonia e reciproco rispetto, in obbedienza alla volontà del vero Dio, che ci ha mostrato, in Gesù, la via verso quella libertà e quella pace a cui tutti i cuori aspirano.

Gesù, il Buon Pastore, la roccia sulla quale costruiamo le nostre vite, guidi voi e le vostre famiglie sulla via del bene e della misericordia per tutti i giorni della vostra vita. Egli benedica tutti gli abitanti del Kenya con la sua pace.

«Siate forti nella fede! Non abbiate paura!». Perché voi appartenete al Signore.

Mungu awabariki! (Dio vi benedica!)

Mungu abariki Kenya! (Dio benedica il Kenya!)

INCONTRO CON IL CLERO, I RELIGIOSI, LE RELIGIOSE ED I SEMINARISTI

Campo sportivo della Saint Mary’s School, Nairobi (Kenya), Giovedì, 26 novembre 2015

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Grazie tante per la vostra presenza. Vorrei tanto parlarvi in inglese, ma il mio inglese è povero… Io ho preso nota e vorrei dirvi tante cose, a tutti voi, a ciascuno di voi… ma mi fa paura parlare e preferirei parlare nella mia lingua madre… Mons. Miles è il traduttore. Grazie per la vostra comprensione.

Quando veniva letta la lettera di san Paolo mi ha colpito questo: «Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6).

Il Signore vi ha scelto tutti, ci ha scelto tutti. E Lui ha iniziato la sua opera il giorno in cui ci ha guardato nel Battesimo, il giorno in cui ci ha guardato dopo, quando ci ha detto “Se hai voglia vieni con me”. E allora, ci siamo messi in fila e abbiamo cominciato il cammino. Ma il cammino lo ha iniziato Lui, non noi! Non siamo stati noi. Nel Vangelo leggiamo di una persona guarita che voleva seguirlo lungo nel cammino e Gesù gli disse: “No”. Nella sequela di Gesù Cristo – sia nel sacerdozio che nella vita consacrata – si entra dalla porta! E la porta è Cristo! E’ Lui che chiama, è Lui che comincia, è Lui che fa il lavoro. Ci sono alcuni che vogliono entrare dalla finestra… Ma questo non serve. Per favore, se qualcuno ha qualche compagno o qualche compagna che è entrato dalla finestra, abbracciatelo e spiegategli che è meglio che vada via e che serva Dio in un altro modo, perché non arriverà mai a termine un’opera che Gesù che non avviato – Egli stesso – attraverso la porta.

E questo ci deve portare ad una consapevolezza di essere persone scelte: “Io sono stato guardato, sono stato scelto”. Mi colpisce l’inizio del capitolo 16 di Ezechiele: “Eri figlia di stranieri, eri stata messa da parte; ma sono passato e ti ho pulito e ti ho preso con me”. Questo è il cammino! Questa è l’opera che il Signore ha cominciato quando ci ha guardato!

Ci sono alcuni che non sanno perché Dio li chiama, però sentono che Dio li ha chiamati. Andate tranquilli, Dio vi farà capire perché vi ha chiamati. Ci sono altri che vogliono seguire il Signore per qualche interesse, per interesse. Ricordiamo la madre di Giacomo e Giovanni: “Signore, ti chiedo, quando dividi la torta, di dare la fetta più grande ai miei figli… Che uno stia alla tua destra e l’altro stia alla tua sinistra”. E questa è la tentazione di seguire Gesù per ambizione: l’ambizione del denaro, l’ambizione del potere. Tutti possiamo dire: “Quando io ho cominciato a seguire Gesù, non mi è capitato questo. Ma ad altri è capitato, e a poco a poco te lo hanno seminato nel cuore, come una zizzania.

La Chiesa è un mistero: è il mistero dello sguardo di Gesù su ognuno di noi che dice “Seguimi!”

Nella vita della sequela di Gesù non c’è posto né per la propria ambizione, né per le ricchezze, né per essere una persona importante nel mondo. Gesù lo si segue fino al suo ultimo passo della sua vita terrena, la Croce. Poi Lui pensa a risuscitarti, ma fino a quel punto devi arrivarci tu. E questo ve lo dico seriamente, perché la Chiesa non è una impresa, non è una ONG. La Chiesa è un mistero: è il mistero dello sguardo di Gesù su ognuno di noi che dice “Seguimi!”.

Quindi che sia chiaro: chi chiama è Gesù; si entra dalla porta quando Gesù chiama e non dalla finestra; e poi bisogna seguire la strada di Gesù.

E’ chiaro evidentemente che quando Gesù ci sceglie, non ci “canonizza”. Continuiamo ad essere gli stessi peccatori… Io vi chiederei, per favore, se c’è qui qualcuno – qualche sacerdote o qualche religiosa o qualche religioso – che non si sente peccatore, alzi la mano… Siamo tutti peccatori, io per primo e poi voi. Però ci porta avanti la tenerezza e l’amore di Gesù.

“Colui che ha iniziato una buona opera, la porterà a compimento”: questo ci porta avanti, quello che ha iniziato l’amore di Gesù. Vi ricordate nel Vangelo, quando l’Apostolo Giacomo ha pianto? Qualcuno di voi lo ricorda o no? E quando ha pianto l’Apostolo Giovanni? No. E quando ha pianto qualcun altro degli Apostoli? Uno soltanto – ci dice il Vangelo - ha pianto: colui che si è reso conto di essere peccatore. Era così peccatore che aveva tradito il suo Signore. E quando si rese conto di questo, pianse… Poi Gesù lo ha fatto Papa… Chi lo capisce Gesù? E’ un mistero!

Non smettete mai di piangere. Quando a un sacerdote, a un religioso, a una religiosa si seccano le lacrime, c’è qualcosa che non funziona. Piangere per le proprie infedeltà, piangere per il dolore del mondo, piangere per la gente che è scartata, per i vecchietti abbandonati, per i bambini assassinati, per le cose che non capiamo; piangere quando ci chiedono “perché?”. Nessuno di noi ha tutte le risposte ai “perché?”.

Ci sono situazioni nella vita che ci portano soltanto a piangere, guardando Gesù sulla croce

C’è un autore russo che si domandava perché i bambini soffrono. E ogni volta che io saluto un bambino che ha un cancro, un tumore o una malattia rara – come si chiamano – mi chiedo perché quel bambino soffra… E io non ho una risposta a questo. Soltanto guardo Gesù sulla croce. Ci sono situazioni nella vita che ci portano soltanto a piangere, guardando Gesù sulla croce. E questa è l’unica risposta a certe ingiustizie, a certi dolori, a certe situazioni della vita.

San Paolo diceva ai suoi discepoli: “Ricordatevi di Gesù Cristo. Ricordatevi di Gesù Cristo crocifisso”. Quando un consacrato, una consacrata, un sacerdote si dimentica di Cristo crocifisso, poveretto, è caduto in un peccato molto brutto, un peccato che fa orrore a Dio, che fa vomitare Dio: è il peccato della tiepidezza. Cari sacerdoti, sorelle, fratelli, religiosi e religiose, state attenti a non cadere nel peccato della tiepidezza...

Cos’altro vi posso dire? Vorrei darvi un messaggio che viene dal mio cuore per voi: che mai vi allontaniate da Gesù. Questo vuol dire non smettere mai di pregare. “Padre, però, qualche volta è così noioso pregare… Ci si stanca, si ci addormentata…”. Va bene, dormite davanti al Signore: è un modo di pregare. Ma restate lì, davanti a Lui. Pregate! Non lasciate la preghiera!

Se un consacrato lascia la preghiera, l’anima si secca, si inaridisce come quei rami secchi: sono brutti, hanno un aspetto brutto. L’anima di una religiosa, di un religioso, di un sacerdote che non prega, è un’anima brutta! Perdonatemi, ma è cosi…

Vi lascio questa domanda: io tolgo tempo al sonno, tolgo tempo alla radio, alla televisione, alle riveste, per pregare? O preferisco queste altre cose? Quindi mettersi davanti a Colui che ha iniziato l’opera e che la sta portando a compimento in ciascuno di noi… La preghiera.

Lasciarsi scegliere da Gesù è lasciarsi scegliere per servire, e non per essere serviti

Un’ultima cosa che volevo dirvi - prima di dirvene un’altra… - è che tutti coloro che si sono lasciati scegliere da Gesù, è per servire: per servire il Popolo di Dio, per servire i più poveri, i più scartati, i più emarginati dalla società, i bambini e gli anziani…; per servire anche quelle persone che non hanno coscienza della superbia e del peccato che loro stessi vivono; per servire Gesù. Lasciarsi scegliere da Gesù è lasciarsi scegliere per servire, e non per essere serviti.

Circa un anno fa, più o meno, c’è stato un incontro di sacerdoti - in questo caso le religiose si salvano! -. Durante questi Esercizi Spirituali, ogni giorno, c’era un gruppo di sacerdoti che dovevano servire a tavola. Alcuni di loro si sono lamentati: “No! Noi dobbiamo essere serviti! Noi paghiamo, abbiamo pagato per essere serviti…”. Per favore, mai questo nella Chiesa! Servire! Non servirsi degli altri, ma servire.

Questo è quello che vi volevo dire, che ho sentito improvvisamente quando ho ascoltato questa frase di San Paolo: “Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù”.

Mi diceva un cardinale, un cardinale anziano - in effetti aveva soltanto un anno più di me! -, che quando va al cimitero, dove ci sono missionari, missionarie, religiosi e religiose, che hanno dato la loro vita, si domanda: “Perché questo non viene canonizzato domani?”; perché hanno vissuto la loro vita servendo. E mi emoziona quando saluto, dopo una Messa, un sacerdote, una religiosa, che mi dice: “Sono 30, 40 anni che sto in questo ospedale di bambini autistici o che sono nelle missioni dell’Amazzonia o che sto in questo luogo o in quest’altro…” Mi tocca l’anima! Questa donna o quest’uomo ha capito che seguire Gesù è servire gli altri e non servirsi degli altri.

Bene, vi ringrazio molto. Però, che Papa maleducato che è questo… Ci ha dato consigli, ci ha dato “bastonate” e non ci dice “grazie”!… Sì, l’ultima cosa - la ciliegina sulla torta - voglio davvero ringraziarvi! Grazie per aver il coraggio di seguire Gesù, grazie per ogni volta che vi sentite peccatori, grazie per ogni carezza di tenerezza che date a quelli che ne hanno bisogno, grazie per tutte le volte in cui avete aiutato le persone a morire in pace. Grazie per dare speranza nella vita. Grazie perché vi siete lasciati aiutare e correggere e perdonare ogni giorno.

Vi chiedo, nel ringraziarvi, di non dimenticarvi di pregare per me, perché ne ho bisogno. Tante grazie!

Parole del Santo Padre al termine dell'Incontro con Sacerdoti, Religiosi e Seminaristi

Vi ringrazio per il momento che abbiamo passato insieme, però ora devo uscire, perché ci sono i bambini malati di cancro e vorrei vederli e dare loro una carezza.

Ringrazio molto voi seminaristi, che non ho nominato ma che siete compresi in tutto quello che ho detto. E se qualcuno non ha il coraggio di andare su questa strada, per tempo cerchi un altro lavoro, si sposi e faccia una famiglia. Grazie.

VISITA AL QUARTIERE POVERO DI KANGEMI

Nairobi (Kenya), Venerdì, 27 novembre 2015

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Grazie per avermi accolto nel vostro quartiere. Grazie al Signor Arcivescovo Kivuva e a padre Pascal per le loro parole. In realtà, mi sento a casa condividendo questo momento con fratelli e sorelle che, non mi vergogno a dire, hanno un posto speciale nella mia vita e nelle mie scelte. Sono qui perché voglio che sappiate che le vostre gioie e speranze, le vostre angosce e i vostri dolori non mi sono indifferenti. Conosco le difficoltà che incontrate giorno per giorno! Come possiamo non denunciare le ingiustizie subite?

Ma prima di tutto vorrei soffermarmi su un aspetto che i discorsi di esclusione non riescono a riconoscere o sembrano ignorare. Voglio fare riferimento alla saggezza dei quartieri popolari. Una saggezza che scaturisce da «un’ostinata resistenza di ciò che è autentico» (Enc. Laudato si’, 112), da valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato. Voi siete in grado di tessere «legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo» (ibid., 149).

La cultura dei quartieri popolari impregnati di questa particolare saggezza, «ha caratteristiche molto positive, che sono un contributo al tempo in cui viviamo, si esprime in valori come la solidarietà, dare la propria vita per l’altro, preferire la nascita alla morte; dare una sepoltura cristiana ai propri morti. Offrire un posto per i malati nella propria casa, condividere il pane con l'affamato: “dove mangiano 10 mangiano in 12”; la pazienza e la forza d’animo di fronte alle grandi avversità, ecc.» (Gruppo di Sacerdoti per le Zone di Emergenza, Argentina, Reflexiones sobre la urbanización y la cultura villera, 2010). Valori che si fondano sul fatto che ogni essere umano è più importante del dio denaro. Grazie per averci ricordato che esiste un altro tipo di cultura possibile.

Vorrei rivendicare in primo luogo questi valori che voi praticate, valori che non si quotano in Borsa, valori con i quali non si specula né hanno prezzo di mercato

Vorrei rivendicare in primo luogo questi valori che voi praticate, valori che non si quotano in Borsa, valori con i quali non si specula né hanno prezzo di mercato. Mi congratulo con voi, vi accompagno e voglio che sappiate che il Signore non si dimentica mai di voi. Il cammino di Gesù è iniziato in periferia, va dai poveri e con i poveri verso tutti.

Riconoscere queste manifestazioni di vita buona che crescono ogni giorno tra voi, non significa in alcun modo ignorare la terribile ingiustizia della emarginazione urbana. Sono le ferite provocate dalle minoranze che concentrano il potere, la ricchezza e sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate.

Questo si aggrava quando vediamo l’ingiusta distribuzione del terreno (forse non in questo quartiere, ma in altri) che porta in molti casi intere famiglie a pagare affitti abusivi per alloggi in condizioni edilizie per niente adeguate. Ho saputo anche del grave problema dell’accaparramento delle terre da parte di “imprenditori privati” senza volto, che pretendono perfino di appropriarsi del cortile della scuola dei propri figli. Questo accade perché si dimentica che «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno» (Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 31).

Negare l’acqua ad una famiglia, attraverso qualche pretesto burocratico, è una grande ingiustizia, soprattutto quando si lucra su questo bisogno

In questo senso, un grave problema è la mancanza di accesso alle infrastrutture e servizi di base. Mi riferisco a bagni, fognature, scarichi, raccolta dei rifiuti, luce, strade, ma anche scuole, ospedali, centri ricreativi e sportivi, laboratori artistici. Voglio riferirmi in particolare all’acqua potabile. «L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (Enc. Laudato si’, 30).Negare l’acqua ad una famiglia, attraverso qualche pretesto burocratico, è una grande ingiustizia, soprattutto quando si lucra su questo bisogno.

Questo contesto di indifferenza e ostilità, di cui soffrono i quartieri popolari, si aggrava quando la violenza si diffonde e le organizzazioni criminali, al servizio di interessi economici o politici, utilizzano i bambini e i giovani come “carne da cannone” per i loro affari insanguinati. Conosco anche le sofferenze di donne che lottano eroicamente per proteggere i loro figli e figlie da questi pericoli. Chiedo a Dio che le autorità prendano insieme a voi la strada dell’inclusione sociale, dell’istruzione, dello sport, dell’azione comunitaria e della tutela delle famiglie, perché questa è l’unica garanzia di una pace giusta, vera e duratura.

Non mancano di fatto, pressioni affinché si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità

Queste realtà che ho elencato non sono una combinazione casuale di problemi isolati. Sono piuttosto una conseguenza di nuove forme di colonialismo, che pretende che i paesi africani siano «pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Africa, 32-33). Non mancano di fatto, pressioni affinché si adottino politiche di scarto come quella della riduzione della natalità che pretende «legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare» (Enc. Laudato si’, 50).

A questo proposito, propongo di riprendere l’idea di una rispettosa integrazione urbana. Né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento. Abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future. Il debito sociale, il debito ambientale con i poveri delle città si paga concretizzando il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro [le tre “t”: tierra, techo, trabajo]. Questa non è filantropia, è un dovere morale di tutti.

Faccio appello a tutti i cristiani, in particolare ai Pastori, a rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria. So che fate molto, ma vi chiedo di ricordare che non è un compito in più, ma forse il più importante, perché «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo» (Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi del Brasile, 11 maggio 2007, 3).

Cari cittadini, cari fratelli. Preghiamo, lavoriamo e impegniamoci insieme perché ogni famiglia abbia una casa decente, abbia accesso all’acqua potabile, abbia un bagno, abbia energia sicura per illuminare, per cucinare, per migliorare le proprie abitazioni... perché ogni quartiere abbia strade, piazze, scuole, ospedali, spazi sportivi, ricreativi e artistici; perché i servizi essenziali arrivino ad ognuno di voi; perché siano ascoltati i vostri appelli e il vostro grido che chiede opportunità; perché tutti possiate godere della pace e della sicurezza che meritate secondo la vostra infinita dignità umana.

Mungu awabariki! (Dio vi benedica!)

E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

INCONTRO CON I GIOVANI

Stadio Kasarani, Nairobi (Kenya), Venerdì, 27 novembre 2015

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Grazie tante per il rosario che avete pregato per me: grazie, grazie tante!

Grazie per la vostra presenza, per la vostra presenza entusiasta, qui! Grazie a Linette e grazie a Manuel, per le vostre riflessioni.

Esiste una domanda alla base di tutte le domande che mi hanno rivolto Linette e Manuel: “Perché succedono le divisioni, le lotte, la guerra, la morte, il fanatismo, la distruzione fra i giovani? Perché c’è questo desiderio di autodistruggerci? Nella prima pagina della Bibbia, dopo tutte quelle meraviglie che ha fatto Dio, un fratello uccide il proprio fratello. Lo spirito del male ci porta alla distruzione; lo spirito del male ci porta alla disunità, ci porta al tribalismo, alla corruzione, alla dipendenza dalla droga… Ci porta alla distruzione attraverso il fanatismo.

Pregare

Manuel mi chiedeva: “Cosa fare perché un fanatismo ideologico non ci rubi un fratello, non ci rubi un amico?”. C’è una parola che può sembrare scomoda, ma non la voglio evitare perché voi la avete usata prima di me: l’avete usata quando mi avete portato i rosari, contando i rosari che avete pregato per me; l’ha usata anche il Vescovo, quando vi ha presentato, e ha detto che vi siete preparati a questa visita con la preghiera. La prima cosa che io risponderei è che un uomo perde il meglio del suo essere umano, una donna perde il meglio della sua umanità, quando si dimentica di pregare, perché si sente onnipotente, perché non sente il bisogno di chiedere aiuto al Signore davanti a tante tragedie.

Scegliere

La vita è piena di difficoltà, ma ci sono due modi di guardare alle difficoltà: o le si guarda come qualcosa che ti blocca, che ti distrugge, che ti tiene fermo, oppure le si guarda come una reale opportunità. A voi scegliere. Per me, una difficoltà è un cammino di distruzione, oppure è una opportunità per superare la mia situazione, quella della mia famiglia, della mia comunità, del mio Paese?

Quale di queste due cose voglio scegliere: farmi sconfiggere dalla difficoltà, oppure trasformare la difficoltà in una opportunità?

Ragazzi e ragazze, non viviamo in cielo, viviamo sulla terra. E la terra è piena di difficoltà. La terra è piena non soltanto di difficoltà, ma anche di inviti a deviare verso il male. Però c’è qualcosa che tutti voi giovani avete, che dura per un certo tempo, un tempo più o meno lungo: la capacità di scegliere quale cammino voglio scegliere, quale di queste due cose voglio scegliere: farmi sconfiggere dalla difficoltà, oppure trasformare la difficoltà in una opportunità, perché possa vincere io?

No al tribalismo

Alcune delle difficoltà che voi avete menzionato sono delle vere sfide. E quindi prima una domanda: voi volete superare queste sfide oppure lasciarvi vincere dalle sfide? Voi siete come quegli sportivi che, quando vengono qui a giocare nello stadio, volete vincere, o come quelli che hanno già venduto la vittoria agli altri e si sono messi i soldi in tasca? A voi la scelta!

Una sfida che ha menzionato Linette è quella del tribalismo. Il tribalismo distrugge una nazione; il tribalismo vuol dire tenere le mani nascoste dietro la schiena e avere una pietra in ciascuna mano per lanciarla contro l’altro. Il tribalismo si vince soltanto con l’orecchio, con il cuore e con la mano. Con l’orecchio, ascoltando: qual è la tua cultura?, perché sei così?, perché la tua tribù ha questa abitudine, questa usanza?, la tua tribù si sente superiore o inferiore? Con il cuore: una volta che ho ascoltato con le orecchie la risposta, apro il mio cuore; e poi tendo la mano per continuare il dialogo. Se voi non dialogate e non vi ascoltate fra di voi, allora ci sarà sempre il tribalismo, che è come un tarlo che corrode la società. Ieri - per voi la facciamo oggi - è stata dichiarata una giornata di preghiera e di riconciliazione. Io vi voglio invitare adesso, tutti voi giovani, Linette e Manuel, a venire qui, a prenderci tutti per mano; ci alziamo in piedi e ci prendiamo per mano come segno contro il tribalismo. Tutti siamo un’unica nazione! Siamo tutti un’unica nazione! Così deve essere il nostro cuore. Il tribalismo non è soltanto alzare la mano oggi, questo è il desiderio, ma è la decisione. Ma il tribalismo è un lavoro di tutti i giorni. Vincere il tribalismo è un lavoro di tutti i giorni; è un lavoro dell’orecchio: ascoltare l’altro; un lavoro del cuore: aprire il mio cuore all’altro; un lavoro della mano: darsi la mano l’uno con l’altro… E adesso diamoci la mano gli uni gli altri…. “No al tribalismo!”.

Sedetevi.

No alla corruzione

Un’altra domanda che ha fatto Linette è sulla corruzione. In fondo mi chiedeva: “Si può giustificare la corruzione semplicemente per il fatto che tutti stanno peccando, che tutti sono corrotti? Come possiamo essere cristiani e combattere il male della corruzione?”.

Io ricordo che nella mia patria, un giovane di 20-22 anni, voleva dedicarsi alla politica; studiava, era entusiasta, andava da una parte all’altra… Ha trovato lavoro in un ministero. Un giorno ha dovuto decidere su quello che bisognava comprare; allora ha chiesto tre preventivi, li ha studiati e ha scelto il più economico. Poi è andato all’ufficio del capo perché lo firmasse. “Perché hai scelto questo?” - “Perché bisogna scegliere il più conveniente per le finanze del Paese” – “No, no! Bisogna scegliere quelli che ti danno di più da metterti in tasca”, disse. Il giovane allora rispose al capo: “Io sono venuto a fare politica per aiutare la patria, per farla crescere”. E il capo gli rispose: “E io faccio politica per rubare!”. Questo è soltanto un esempio. Ma questo non soltanto nella politica, ma in tutte le istituzioni, compreso il Vaticano, ci sono casi di corruzione. La corruzione è qualcosa che ci entra dentro. E’ come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile… e poi? Finiamo male! Facciamo una brutta fine! Con tanto zucchero facile, finiamo diabetici e anche il nostro Paese diventa diabetico!

Se non vuoi la corruzione nel tuo cuore, nella tua vita, nella tua patria, comincia tu, adesso!

Ogni volta che accettiamo una “bustarella”, una tangente, ogni volta che accettiamo una “bustarella” e ce la mettiamo in tasca, distruggiamo il nostro cuore, distruggiamo la nostra personalità e distruggiamo la nostra patria. Per favore, non prendete gusto a questo “zucchero” che si chiama corruzione. “Padre, però io vedo che ci sono molti che sono corrotti, vedo tante persone che si vendono per un po’ di soldi, senza preoccuparsi della vita degli altri...”. Come in tutte le cose, bisogna cominciare: se non vuoi la corruzione nel tuo cuore, nella tua vita, nella tua patria, comincia tu, adesso! Se non cominci tu, non comincerà neanche il tuo vicino. La corruzione ci ruba anche la gioia, ci ruba la pace. La persona corrotta non vive in pace.

La corruzione non è un cammino di vita: è un cammino di morte!

Una volta - e questo è un fatto storico, che adesso vi racconto – nella mia città è morto un uomo. Tutti sapevamo che era un grande corrotto. Allora io ho chiesto alcuni giorni dopo: come è stato il funerale? E una signora, che aveva molto senso dell’umorismo mi rispose: “Padre, non riuscivano a chiudere la bara, la cassa, perché voleva portarsi via tutto il denaro che aveva rubato”. Quello che voi rubate con la corruzione, rimarrà qui e lo userà qualcun altro. Però rimarrà anche – e questo teniamolo bene a mente – nel cuore di tanti uomini e donne che sono rimasti feriti dal tuo esempio di corruzione. Rimarrà nella mancanza del bene che avresti potuto fare e non hai fatto. Rimarrà nei ragazzi malati, affamati, perché il denaro che era per loro, a causa della tua corruzione, te lo sei goduto tu. Ragazzi e ragazze, la corruzione non è un cammino di vita: è un cammino di morte!

I mezzi di comunicazione

C’era anche una domanda su come usare i mezzi di comunicazione per divulgare il messaggio di speranza di Cristo, e promuovere iniziative giuste perché si veda la differenza. Il primo mezzo di comunicazione è la parola, è il gesto, è il sorriso. Il primo gesto di comunicazione è la vicinanza. Il primo gesto di comunicazione è cercare l’amicizia. Se voi parlate bene tra di voi, se vi sorridete, se vi avvicinate come fratelli; se voi state vicini gli uni agli altri, anche se appartenete a tribù differenti; se voi siete vicini a quelli che hanno bisogno, a quelli che sono poveri, a quelli abbandonati, agli anziani che nessuno visita, se siete vicini a loro, questi gesti di comunicazione sono più contagiosi di qualunque rete televisiva.

Fra tutte queste domande ho detto qualcosa che spero vi possa aiutare. Ma chiedete molto a Gesù, pregate il Signore, affinché vi dia la forza di distruggere il tribalismo, di essere tutti fratelli; affinché vi dia il coraggio di non lasciarvi corrompere, affinché vi dia il desiderio di poter comunicare fra di voi come fratelli, con un sorriso, con una buona parola, con un gesto di aiuto e con la vicinanza.

Combattere il reclutamento

Anche Manuel nella sua testimonianza ha fatto delle domande incisive. Mi preoccupa la prima cosa che ha detto: “Cosa possiamo fare per fermare il reclutamento dei nostri cari? Cosa possiamo fare per farli tornare? Per rispondere a questo dobbiamo sapere perché un giovane, pieno di speranze, si lasci reclutare oppure vada a cercare di essere reclutato: si allontana dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalla sua tribù, dalla sua patria; si allontana dalla vita, perché impara ad uccidere… E questa è una domanda che voi dovete rivolgere a tutte le autorità. Se un giovane, se un ragazzo o una ragazza, se un uomo o una donna, non ha lavoro, non può studiare, che può fare? Può delinquere, oppure cadere in una forma di dipendenza, oppure suicidarsi… - in Europa, le statistiche dei suicidi non vengono pubblicate -, oppure arruolarsi in una attività che gli dia un fine nella vita, ingannandolo…

La prima cosa che dobbiamo fare per evitare che un giovane sia reclutato o che cerchi di farsi reclutare è istruzione e lavoro. Se un giovane non ha lavoro, che futuro lo attende? Da lì viene l’idea di lasciarsi reclutare. Se un giovane non ha possibilità di ricevere una educazione, anche un’educazione di emergenza, di piccoli incarichi, che cosa può fare? Lì c’è il pericolo! E’ un pericolo sociale, che va al di là di noi, anche al di là del Paese, perché dipende da un sistema internazionale, che è ingiusto, che ha al centro dell’economia non la persona, ma il dio denaro. Che cosa posso fare per aiutarlo o per farlo tornare? Prima di tutto pregare. Però con forza! Dio è più forte di ogni campagna di reclutamento. E poi? Parlargli con affetto, con tenerezza, con amore e con pazienza. Invitarlo a vedere una partita di calcio, invitarlo a fare una passeggiata, invitarlo a stare insieme nel gruppo. Non lasciarlo da solo. Questo è quello che mi viene in mente adesso.

Guardare la Croce

Certamente ci sono – è la tua seconda domanda – ci sono comportamenti che danneggiano, comportamenti in cui si cercano felicità passeggere, ma che finiscono poi per danneggiarvi. La domanda che mi hai fatto, Manuel, è una domanda di un professore di teologia: “Come possiamo capire che Dio è nostro Padre? Come possiamo vedere la mano di Dio nelle tragedie della vita? Come possiamo trovare la pace di Dio?”. Questa domanda se la pongono gli uomini e le donne di tutto il mondo, in un modo o nell’altro. E non trovano una ragione. Ci sono domande, alle quali, per quanto ci si sforzi di rispondere, non si riesce a trovare una risposta. “Come posso vedere la mano di Dio in una tragedia della vita?”. C’è una sola risposta: no, non c’è risposta. C’è una sola strada, guardare al Figlio di Dio. Dio lo ha consegnato per salvare tutti noi. Dio stesso si è fatto tragedia. Dio stesso si è lasciato distruggere sulla croce. E quando viene il momento in cui non capite, quando siete disperati e quando il mondo vi cade addosso, guardate la Croce! Lì c’è il fallimento di Dio; lì c’è la distruzione di Dio. Ma lì c’è anche sfida alla nostra fede: la speranza. Perché la storia non è finita in quel fallimento: c’è stata la Risurrezione che ci ha rinnovato tutti.

Vi farò una confidenza… Avete fame? Sono le 12.00… No? Allora vi farò una confidenza. In tasca porto sempre due cose [le tira fuori dalla tasca e le mostra]: un rosario, un rosario per pregare; e una cosa che sembra strana… Che cos’è questo? Questa è la storia del fallimento di Dio, è una Via Crucis, una piccola Via Crucis [mostra un astuccio che si apre e contiene delle piccole immagini]: come Gesù ha sofferto da quando è stato condannato a morte, fino a quando è stato sepolto… E con queste due cose, cerco di fare del mio meglio. Ma grazie a queste due cose non perdo la speranza.

Dare ciò che non si è ricevuto

Difendete la famiglia! Difendetela sempre

Un’ultima domanda del “teologo” Manuel: “Che parole ha per i giovani che non hanno vissuto l’amore nelle proprie famiglie? E’ possibile uscire da questa esperienza?”. Ovunque ci sono ragazzi abbandonati, o perché sono stati abbandonati alla nascita o perché la vita li ha abbandonati, la famiglia, i genitori, e non sentono l’affetto della famiglia. Per questo la famiglia è così importante. Difendete la famiglia! Difendetela sempre. Ovunque ci sono non solo bambini abbandonati, ma anche anziani abbandonati, che stanno lì senza che nessuno li visiti, senza nessuno che voglia loro bene… Come si può uscire da questa esperienza negativa, di abbandono, di mancanza di amore? C’è soltanto un rimedio per uscire da queste esperienze: fare quello che io non ho ricevuto. Se voi non avete ricevuto comprensione, siate comprensivi con gli altri; se voi non avete ricevuto amore, amate gli altri; se voi avete sentito il dolore della solitudine, avvicinatevi a quelli che sono soli. La carne si cura con la carne! E Dio si è fatto cCarne per curarci. Facciamo anche noi lo stesso con gli altri.

Bene, credo che - prima che l’arbitro fischi la fine – sia il momento di concludere. Io vi ringrazio di cuore per essere venuti, per avermi permesso di parlare nella mia lingua materna… Vi ringrazio per aver pregato tanti Rosari per me. E, per favore, vi chiedo che preghiate per me, perché anche io ne ho bisogno, e molto! E prima di andarcene, vi chiedo di metterci tutti in piedi e preghiamo insieme il nostro Padre del Cielo, che ha un solo difetto: non può smettere di essere Padre!