Dopo la guerra: Perdono e reconciliazione

La fine della guerra civile spagnola non significò la fine delle inimicizie e dei rancori. E in quel clima risentito don Josemaría predicava ardentemente il perdono e la riconciliazione, senza sprecare occasioni.

La fine della guerra civile spagnola non significò la fine delle inimicizie e dei rancori. E in quel clima risentito don Josemaría predicava ardentemente il perdono e la riconciliazione, senza sprecare occasioni.

In treno, per esempio, incontrò un ufficiale livido di rancore: «ha straordinariamente sofferto nella sua famiglia e nel suo patrimonio per le persecuzioni dei rossi», scriveva, «preannuncia le sue prossime vendette. Gli dico che ho sofferto come lui, nei miei e nel mio patrimonio, ma che desidero che i rossi vivano e si convertano. Le parole cristiane si scontrano, nella sua anima nobile, con i sentimenti di violenza, e si vede che reagisce. Mi concentro per quanto posso e, come è mia abitudine, invoco tutti gli Angeli Custodi». Sempre in treno si imbatté in una famiglia che conosceva da prima della guerra e dovette chiarire loro che il regime nazista, per il quale in quei primi anni molti simpatizzavano, era fieramente anticristiano e disumano.

Ma c’erano anche quelli dell’altro lato. Una volta dovette prendere un taxi e, come sempre, si mise a chiacchierare con il conducente, parlandogli di Dio, della pacifica convivenza e del dovere di dimenticare le disgrazie per le quali era passata la Spagna. Il tassista lo ascoltava in silenzio, ma giunto a destinazione si rivolse al prete:

«Mi dica, dove stava lei durante la guerra?».

«A Madrid».

«Peccato che non l’abbiano ammazzato!», replicò il tassista.

Allora don Josemaría gli chiese:

«Lei ha figli?».

L’altro fece un cenno di assenso.

«Tenga, compri dei dolci a sua moglie e ai suoi figli», gli disse mentre metteva nella sua mano una bella mancia. Lui, povero in canna.

Non si faranno qui analisi storiche che richiederebbero ben altri strumenti. Ci basterà ricordare che in quelle circostanze don Josemaría si mantenne al di fuori di ogni schema partitico, sacerdote fino in fondo, sacerdote per tutte le anime. Anni addietro aveva scritto: «L’Opera di Dio non l’ha immaginata un uomo per risolvere la deplorevole situazione della Chiesa in Spagna dal 1931». L’Opus Dei, per volontà di Dio, era universale nello spazio e nel tempo, come la Chiesa. Egli si concentrò sul proprio obiettivo e si diede a un vastissimo apostolato. La mantenuta decisione di non adottare segni che neanche lontanamente lo assimilassero a un credo politico, fu veramente eroica e destinata a suscitare diffidenza nelle menti più ideologizzate od ottuse. Per esempio, non faceva il saluto romano alla fascista, assolutamente diffuso nella Spagna di allora come reazione al pugno chiuso comunista.

Cerca di non farti arrestare

L’Opera doveva restare universale, andava difesa da ogni tentativo di strumentalizzazione e soprattutto doveva accogliere le legittime idee e opinioni dei suoi membri e delle persone che l’avvicinavano . Nei decenni franchisti il Padre ebbe figli nell’apparato del regime come li ebbe in esilio. Oggi sarebbe ingiusto accusare di scelleratezza coloro che collaborarono con la dittatura: a differenza di quanto successe con il nazismo e il fascismo, la Chiesa non la condannò mai. In quelle circostanze le persone andavano giudicate dalla rettitudine del loro agire.

Il Padre si attese anche a un sano pragmatismo. Lo mostra bene il caso di Juan Bautista Torrelló, uno dei primi fedeli dell’Opus Dei a Barcellona. Si era nel 1941 e in piena esaltazione nazionalista fra gli esponenti della Falange. Barcellona fu coperta di scritte «patriottiche»: «Se sei spagnolo, parla spagnolo»; «Spagnolo, parla la lingua dell’Impero!». Le manifestazioni di cultura locale erano considerate pericolose, potenzialmente contrarie all’unità nazionale. Juan Bautista rivelò al Padre di appartenere a un’organizzazione di difesa della cultura catalana, considerata dalla polizia alla stregua di un’attività clandestina e antifranchista. Il Padre gli rammentò che godeva di piena libertà nelle sue posizioni culturali e politiche, con i soli limiti imposti dalla fede stessa. E aggiunse:

«Però, visto che me l’hai detto, ti voglio dare un consiglio: cerca di non farti arrestare, perché, visto che siamo pochi, non possiamo permetterci il lusso che uno di noi finisca in carcere».

I rischi di venire strumentalizzato o manipolato era per il Padre e per l’Opera un rischio effettivo in quel periodo di esaltazione. Perciò egli fu estremamente prudente nei rapporti con le autorità civili. E poiché non bastava fu ben contento di trasferirsi a Roma nel 1946 . «Questo è stato», confessava, «uno dei motivi che mi hanno obbligato, dal 1946, a non vivere in Spagna, dove da allora sono ritornato poche volte e per pochissimi giorni».

Tratto da "Mia madre la Chiesa" di Michele Dolz, Edizioni San Paolo.