San Josemaría, maestro del perdono

Il Fondatore dell’Opus Dei invitava a riscoprire il perdono per imparare ad amare: amare Dio e, attraverso di Lui, il prossimo, anche quando offende. In questo senso, le parole e l’esempio di San Josemaría costituiscono un’ottima via per approfondire la bellezza del perdono e imparare a esercitarlo.

Nel presente studio – che per la sua estensione si pubblica in due parti, nei numeri 52 e 53 di Romana – si espongono alcuni aspetti degli insegnamenti sul perdono in San Josemaría Escrivá e la loro importanza sociale, nella speranza di favorire una convivenza pacifica. Il Fondatore dell’Opus Dei invita a riscoprire il perdono e a imparare ad amare: amare Dio e, attraverso di Lui, il prossimo, anche quando offende. In questo senso, le parole e l’esempio di San Josemaría costituiscono un’ottima via per approfondire la bellezza del perdono e imparare a esercitarlo. Nella seconda parte dello studio si metterà in evidenza il significato che San Josemaría scorge dietro alla incomprensione e alla ingiustizia, esposto in modo sapienziale nell’omelia Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà. Si analizzeranno anche gli atteggiamenti che egli adottava in caso di offese, per terminare con un riferimento alla pratica del perdono nella società contemporanea a favore di una cultura della pace.

1. Riscoprire la novità liberatrice del perdono

Il messaggio di Cristo sul perdono fu rivoluzionario, a suo tempo, e continua a esserlo oggi. Comporta un cambiamento di modello rispetto all’“occhio per occhio, dente per dente” 1 . Nel messaggio cristiano, che rifonda nell’amore le relazioni umane, il perdono, come l’amore di Dio da cui nasce, non ha misura, non ammette limiti. Come debbo perdonare? Come Egli ci ha perdonato: “Quante volte dovrò perdonare? Fino a sette volte? Fino a settanta volte sette” 2 . Chi debbo perdonare? Tutti; infatti l’“amerai il prossimo tuo” 3 di Gesù amplia i termini e abbraccia ogni persona, compresi i nemici4 e qualsiasi atto offensivo. Si passa dal moderare la vendetta alla “logica dell’amore” 5 , l’atto positivo di amare chi ha offeso.

La misericordia e il perdono sono dichiarati nel Discorso della Montagna6 ; è realmente “tanto importante che è la sola [petizione delle Beatitudini] su cui il Signore torna sviluppandola” 7 in seguito. Viene anche sottolineata nel Padre Nostro8 . È un aspetto centrale del messaggio di Gesù9 , suggellato da uno dei suoi ultimi atti sulla terra, quando perdona la violenza mortale che viene esercitata contro di Lui10 .

Dobbiamo perdonare perché Dio ci ha perdonato per primo. Dobbiamo amare “come Egli ci ha amato” 11 . “Il perdono di Dio diventa nei nostri cuori sorgente inesauribile di perdono anche nei rapporti fra noi” 12 . Come Dio mi ha perdonato dalla Croce, essendo un “Amore che ama fino alla fine” 13 , così dobbiamo perdonare noi, anche noi fino alla fine.

Il perdono fa parte della misericordia divina e, come scrive San Giovanni Crisostomo, “niente ci fa somigliare tanto a Dio come l’essere sempre disposti a perdonare” 14 . Per questo chi perdona riflette con maggiore nitidezza l’immagine di Dio.

Perdonare significa dare un bene dopo aver ricevuto un male. È una maniera particolarmente efficace di donazione di sé stesso, che innalza la persona. Il perdono non lascia le cose come prima, ma una relazione risulterà rinnovata e in certo qual modo purificata e più profonda. Così la morte di Cristo sulla Croce rinnova ed eleva le relazioni di Dio con gli uomini e degli uomini tra loro. Fra la Croce e la Risurrezione c’è stato il perdono.

In ogni offesa veniamo aggrediti con un male che può far nascere in noi un altro male. Questo è veramente il male che ognuno deve superare. Il perdono elimina la ritorsione, placa la sensibilità e purifica la memoria. Per ciò che riguarda colui che è perdonato, il perdono lo rende capace di superare sia l’offesa commessa, sia la corresponsabilità nel nuovo peccato che potrebbe nascere nella persona offesa.

La volontà di perdonare e la sua accettazione fanno emergere la verità e la giustizia, “presupposti del perdono” 15 . Si sgombra il cammino con la chiusura delle ferite, e così la riconciliazione diventa possibile. Se vogliamo costruire una società veramente umana, uno dei mezzi dev’essere quello di ripristinare il perdono nella sua natura originaria.

Si tratta di un’autentica sfida, perché vi sono alcune culture nelle quali il messaggio del perdono non è ancora arrivato e vi sono società post-cristiane nelle quali il perdono è scomparso nei suoi tratti essenziali o è considerato una consolazione superficiale di tipo sentimental-religioso che aiuta a sopportare l’offesa subita. D’altra parte, perdonare può essere difficile e certe volte può apparire impossibile16 ; tuttavia, “nessuna comunità può sopravvivere senza il perdono” 17 .

Sembra come se oggi, duemila anni dopo la venuta di Cristo, e in modo simile a quello che è accaduto con il matrimonio, Dio dicesse: “Da principio non fu così” 18 . In un mondo segnato da conflitti, l’essere umano si rende conto di essere capace di fare qualcosa di meglio, la sua dignità di figlio di Dio reclama che si superi il ricorso alla vendetta, al risentimento e all’odio. Il dono di sé deve comprendere anche il processo di ripristino delle relazioni quando si sono interrotte o si sono guastate.

Tuttavia, dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso c’è anche un nuovo interesse per il perdono, una riscoperta19 . La causa risiede soprattutto nell’insieme delle conseguenze dovute ai conflitti armati, al terrorismo, alle violazioni della dignità della persona e dei diritti umani avvenuti negli ultimi decenni. La violenza in molti casi è ormai cessata, ma non così tutti i suoi effetti.

Nel tentativo di ricostruire la vita di alcune persone, i governi, le organizzazioni internazionali, le istituzioni, le comunità, ecc. hanno voluto dare risposte basate sulle sentenze dei tribunali, soprattutto condanne e risarcimenti economici. Ben presto si sono resi conto che, per poter arrivare a processi realmente risolutivi, le risposte dovevano interessare pienamente il livello più profondo della persona (quello stesso al quale era arrivata l’offesa). Si tratta del livello della dignità radicale di ogni essere umano. Al livello più intimo non si arriva solo con queste misure, che spesso riguardano più l’offensore e l’ordine sociale dello Stato che l’offeso, e che inoltre, spesso, sono insufficienti quando si riferiscono a offese irreparabili.

Non bastano allora, pur essendo necessari, i verdetti dei tribunali o i risarcimenti economici20 . La constatazione di tale insufficienza ha provocato negli ultimi anni un’importante evoluzione del diritto dei risarcimenti nell’ambito dei diritti umani. L’evoluzione consiste, fra gli altri aspetti, nel fatto che i risarcimenti cercano di dare risposte globali al danno causato, includendo, oltre a quelli economici, altri risarcimenti di diversa natura e portata21 .

Nell’ambito di queste nuove procedure sono sorti alcuni concetti, quali riconoscimento, verità, pentimento, trasformazione personale, nobilitazione, ricordo, guarigione del dolore, necessità di liberarsi della colpa o del desiderio di vendetta, dell’odio, ecc., tutti elementi che, oltrepassando gli schemi della giustizia umana, favoriscono il perdono, fino a quel momento dimenticato, quando non svalutato a causa del suo significato religioso22.

È attraverso questa via inattesa che riappare il perdono e la sua “novità liberatrice” 23 e curativa che attrae l’interesse di istituzioni, università e studiosi, che lo affrontano dal punto di vista psicologico, antropologico, religioso o sociologico, apportando approfondimenti e proponendolo non solo come soluzione dei grandi conflitti, ma anche come un mezzo al quale ricorrere nelle nostre relazioni quotidiane24 . “Chiedere e donare perdono è una via profondamente degna dell’uomo; talvolta è l’unica via per uscire da situazioni segnate da odi antichi e violenti” 25 .

Partendo da queste realtà e dalle nuove prospettive presenti nelle nostre società, proponiamo ora la figura di San Josemaría come un uomo che sapeva perdonare. Nelle sue considerazioni sul perdono e sul modo di praticarlo si notano alcuni aspetti più marcati, che serviranno da ordito per questo studio.

Prima di ogni altra cosa, appare evidente una carità vissuta in grado eroico. Poi, il messaggio della chiamata universale alla santità, soprattutto la concatenazione tra mentalità laicale, libertà, comprensione e perdono, e la ripercussione nei rapporti individuali e sociali. In terzo luogo, le contrarietà che dovette superare durante l’intera vita, principalmente sotto forma di calunnie e incomprensioni. Qui ci soffermeremo su alcuni aspetti dell’omelia “Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà” 26 che, fra i testi di San Josemaría già pubblicati, è quello che tratta con una messa a fuoco più ampia e generale la questione delle incomprensioni e delle ingiustizie tra gli uomini27 .

Successivamente, in base ad alcune testimonianze di coloro che l’hanno conosciuto, analizzeremo ognuno degli atteggiamenti che adottava in caso di offese.

È stato anche un uomo attento alle coordinate storiche, culturali e intellettuali del XX secolo e, oltretutto, si vide coinvolto nella guerra civile spagnola. Non rientra nel programma del nostro studio l’analisi dell’epoca di quella contesa, e più in generale il contesto del XX secolo in cui visse, un secolo di conflitti armati e di violenza. C’è invece da dire, perché conferma la coerenza della sua carità, che ha sempre conservato la stessa disposizione di cercare il perdono e la riconciliazione tra le persone, senza eccezioni al comandamento della carità, per quanto straordinarie fossero le situazioni28 .

Chiuderemo lo studio con un riferimento alla pratica del perdono nella società contemporanea e alla cultura della pace.

2. Il Grande Amore

Annegare il male nella sovrabbondanza del bene

In San Josemaría, la radice più profonda del perdono si deve cercare nell’amore a Dio. Aveva interiorizzato il duplice comandamento della carità29 . Amava Dio al di sopra di tutte le cose e per questo amava tutti in maniera positiva e operativa30 .

Nel 1957, in una conversazione con un suo figlio spirituale, si riferiva così al duplice comandamento e alla sua coerenza interna: “A volte mi sembra di sentire qualcuno che mi dice: amare Dio al di sopra di tutte le cose è facile, ma amare il prossimo, amici e nemici..., questo è molto difficile! Ma se davvero tu amassi Dio ‘ex toto corde tuo, ex tota anima tua, et ex tota fortitudine tua’ (Dt 6,5), con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze, questo amore per il prossimo, che ti pare così difficile, sarebbe conseguenza del Grande Amore: e non ti sentiresti nemico di nessuno” 31 .

Era sensibile a come Dio lo aveva amato e a come lo aveva perdonato durante tutta la vita. Questo lo portava al ringraziamento e alla identificazione con Cristo nell’amare tutti al di fuori di ogni altra considerazione, abbattendo le barriere, come in una inondazione.

Attorno a sé trasmetteva un’atmosfera di amore agli altri, valutando ogni persona in quanto figlio di Dio, portatore di un nucleo di dignità che neppure il peccato può cancellare. Sapeva cogliere in ciascuno le peculiarità migliori. Detestava i favoritismi32 ed era molto lontano dal considerarsi titolare di una patente di innocenza che lo legittimasse a guardare dall’alto in basso gli altri.

In questo contesto il perdono era più una conseguenza della carità che un dovere aggiunto; così poteva dire: “Non ho avuto bisogno di imparare a perdonare, perché il Signore mi ha insegnato ad amare” 33 . Con tali parole metteva in evidenza la carità come fonte del perdono e quest’ultimo come un aspetto dell’amore. Forse come l’aspetto più profondo, perché certe volte può essere il più difficile da compiere. Era tale la sua carità, che non aveva bisogno di perdonare perché in realtà non si considerava offeso. Percepiva il male che c’è nell’offesa e se ne doleva come peccato contro Dio. Lo sentiva anche come uomo, ma la carità cancellava sin dal primo momento il rancore, l’odio o la vendetta34 .

Seguiva il consiglio di San Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” 35 , che egli parafrasava dicendo: “Annegare il male nella sovrabbondanza del bene” 36 .

Il focolare che io ho visto

Il primo posto in cui Josemaría fece esperienza di perdono concesso e donato fu nella sua famiglia, in casa. I suoi genitori, il signor José e la signora Dolores, avevano formato un focolare cristiano in cui il perdono era inserito nel modo più naturale nelle relazioni interpersonali. La sua famiglia fu, per lui e per i suoi fratelli e sorelle, una scuola di perdono e di misericordia: fu lì che imparò la pratica del perdono. Josemaría bambino fu testimone di come i suoi genitori perdonassero gravi ingiustizie. Un perdono dato con normalità e discrezione. I suoi genitori evitavano persino di commentare i fatti ingiusti in presenza dei figli per evitare che in essi nascessero mancanze di carità verso i responsabili37 .

Così , attraverso l’esempio dei genitori, assimilò una carità che andava oltre la giustizia, una particolare apertura del cuore verso le persone più bisognose38 , la disposizione a chiedere perdono e a perdonare, e il tutto con discrezione. Non sarà difficile, dopo alcuni anni, trovare nel perdono di San Josemaría l’eco delle disposizioni cristiane dei suoi genitori in caso di offese.

L’unità di vita

Intimamente legato alla carità, troviamo uno dei concetti chiave della sua dottrina spirituale, l’unità di vita: ricordare ai cristiani che l’amore di Dio rende capaci di unificare tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Non può esserci un divorzio tra la fede e un’esistenza concreta39 . San Josemaría diceva che c’è il pericolo “di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall’altra, come una cosa diversa e separata, la vita familiare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene” 40 .

Applicato al perdono, questo significa che occorre mettere in pratica, rendere possibile, quello che il Catechismo denomina “l’unità del perdono” 41 , infatti “l’Amore, come il Corpo di Cristo, è indivisibile: non possiamo amare Dio che non vediamo, se non amiamo il fratello, la sorella che vediamo” 42 . Il Padre Nostro esige la coerenza del perdono nella relazione più importante: quella della persona con Dio. Da questa coerenza dipende il resto delle nostre relazioni.

Sono molte le conseguenze dell’unità di vita applicata al perdono. Facciamo riferimento ad alcune di esse, che ci sembrano più rilevanti in San Josemaría.

La prima è che perdonava tutti e praticava questa esigenza nella forma più eroica, perdonando anche i nemici. Il perdono dei nemici è particolarmente difficile per la sua carica emotiva e per la mancanza di supporti umani per concederlo, e quindi si fonda essenzialmente nella carità. San Josemaría portava il comandamento dell’amore più in là, per così dire, del perdono, perché ripeteva che non aveva nemici, che non si sentiva nemico di nessuno. Nel suo modo di perdonare si avverte la volontà, non solo di superare la reazione negativa all’offesa, ma di arrivare al cuore dell’offensore e convertirlo43 .

In senso stretto, non considerava nemici quelli che effettivamente lo attaccavano44 e, in un senso più ampio e vicino alla vita normale, ancor meno considerava nemici quelli che gli erano lontani per il modo di pensare, le credenze, i comportamenti, le situazioni personali, le opinioni politiche o sociali, lo stile di vita, ecc. Tali questioni possono essere spesso motivo di freddezza e anche di rottura fra le persone, nelle famiglie e nella società. In questo secondo senso si possono avere più nemici di quel che a prima vista sembra; o, almeno, se non nemici, quelli che rimangono nell’ambito dell’indifferenza o del disprezzo quando, coscientemente o incoscientemente, si cade nella discriminazione, lasciando fuori dall’orizzonte vitale alcune persone o gruppi di persone.

Fra i tanti aspetti dell’unità di vita, San Josemaría aveva acquisito anche la disposizione a chiedere perdono e a rettificare nel caso avesse offeso. Mons. Álvaro del Portillo, il suo più stretto collaboratore per quasi quarant’anni, ricordava che “le rare volte in cui accadeva [che si sbagliasse], sapeva immediatamente rettificare e, se del caso, chiedere scusa [...]. In effetti, era patente la prontezza con cui rettificava: non esitava a farlo in pubblico, se necessario. Era una caratteristica molto spiccata del suo comportamento, e per tutti desiderava l’allegria di rettificare45 .

Non prendeva a pretesto l’autorità che aveva come Fondatore per non chiedere perdono, ma piuttosto riteneva che proprio per la sua autorità doveva stare più attento a farlo. In modo coerente col suo messaggio di santità nelle cose ordinarie, chiedeva perdono anche per le piccole offese, errori o malintesi che possono nascere nella vita di un uomo di governo, che ha dovuto lavorare con molte persone e prendere decisioni relative alla formazione e allo sviluppo dell’Opus Dei.

Un altro aspetto dell’unità è che San Josemaría esigeva dai fedeli dell’Opera e dalle persone che gli si avvicinavano, o si avvicinavano agli apostolati dell’Opus Dei, le stesse cose che egli cercava di praticare. Non riduceva il messaggio: tutti dovevano imparare a perdonare e a chiedere perdono e farlo effettivamente, per amore a Dio46 .

Nell’unità del perdono così vissuta, diventa evidente la stretta relazione esistente fra l’essere perdonati e la crescita della nostra disposizione a perdonare. Chi è perdonato è più disposto a perdonare. Se è Dio che perdona, questa disposizione si intensifica perché si sente la necessità di amarlo di più. Allo stesso modo, quando perdoniamo gli altri avvertiamo più chiaramente che anche noi abbiamo bisogno del perdono, e in questo caso cresce la conoscenza di sé. È ciò che si potrebbe chiamare il gioco dell’unità del perdono che spinge al bene in tutte le direzioni possibili delle nostre relazioni. Chi perdona, in ogni caso fa crescere in sé una disposizione abituale a perdonare, conosce meglio sé stesso, amministra meglio la propria fragilità e impara a comprendere quella altrui.

Il perdono è uno dei terreni dove nel modo più evidente si mostra la frattura dell’unità di vita tra i cristiani. L’assenza di perdono, o un perdono filtrato attraverso l’accettazione delle persone, è un sintomo di paganizzazione, di carenza di amore di Dio, un termometro della debolezza della vita cristiana. Forse per questo oggi più che in altre epoche, nel cercare di mostrare il vero volto di Dio, è necessario sottolineare che i testimoni del perdono hanno una grande forza evangelizzatrice.

Sacerdote di Cristo

La condizione sacerdotale di San Josemaría è, inoltre, un motivo determinante per cogliere la profondità del suo insegnamento e del suo esempio personale sulla centralità della carità e del perdono nella vita cristiana.

Dei tanti aspetti che potrebbero essere analizzati, ne citeremo due. Il primo è ben formulato in una sua omelia: “Qual è l’identità del sacerdote? Quella di Cristo” 47 . E nella sua identificazione con Cristo, il sacerdote, che è stato ordinato per servire tutti, deve saper aprire le braccia a tutta l’umanità, amando, comprendendo, perdonando.

“Non è di destra, né di sinistra, né di centro. Io, come sacerdote, mi sforzo di essere di Cristo, che sulla Croce ha aperto entrambe le braccia, e non un solo braccio; io da ogni gruppo prendo con libertà ciò che mi convince e che mi aiuta ad avere il cuore e le braccia aperti, per accogliere tutti gli uomini” 48 . La coltivazione e la crescita di tale identificazione nella sua anima sacerdotale sono la fonte e la ragione ultima della sua capacità di amare gli altri e del fatto che tutti quelli che si avvicinavano a lui trovavano l’accoglienza misericordiosa e la fortezza di cui avevano bisogno.

Il secondo è il suo amore al sacramento della Riconciliazione: ad amministrarlo e a riceverlo. Come ha scritto Mons. Álvaro del Portillo, “egli ebbe un’autentica passione per amministrare il sacramento della Penitenza [...] e predicò incessantemente su questo sacramento” 49 . Durante la vita confessò migliaia di persone, ed egli stesso andava ogni settimana a riceverlo. Insisteva sul fatto che i sacerdoti devono confessarsi spesso e dedicare tempo ad amministrare il sacramento del perdono.

Nella confessione il sacerdote chiede perdono a Dio per i propri peccati; nell’amministrare il sacramento del perdono perdona in nome di Cristo i peccati degli uomini; se ha offeso il prossimo sollecita il perdono da parte degli altri e lo concede se hanno offeso lui. Il sacerdote è assiduo al perdono ed è l’essere umano che sfiora più da vicino tanto la misericordia di Dio quanto la debolezza umana. Questa vicinanza modella l’anima e il cuore del sacerdote, facendolo diventare “un Dio che perdona” 50 .

Per concludere, potremmo dire che San Josemaría riteneva, e ne fu sempre convinto, che l’identità del ministero sacerdotale si basa su due caratteristiche: l’amore alla Messa e al sacramento del perdono. Cristo è inchiodato alla Croce e da lì, come frutto del sacrificio, perdona. Nella Messa si identifica col Cristo dalle braccia aperte a tutta l’umanità; quando amministra il perdono, con Cristo che perdona dalla Croce.

3. Al centro del messaggio fondazionale

Un messaggio di amore e di pace

Il terzo fattore nel quale si possono trovare i tratti più marcati sul perdono e la comprensione è lo stesso messaggio fondazionale dell’Opus Dei. Un esempio è contenuto in questo passo:

“L’Opera di Dio è nata per estendere in tutto il mondo il messaggio di amore e di pace che il Signore ci ha affidato; per invitare tutti gli uomini al rispetto dei diritti della persona [...]. Vedo l’Opera protesa nei secoli [...], a difendere la pace di Cristo e diffonderla dappertutto”51.

Nei suoi scritti e nella sua predicazione, nello sviluppare i differenti aspetti del messaggio, sottolineò i concetti di dignità e uguaglianza di ogni essere umano, pace, riconciliazione, perdono, comprensione, convivenza, amore alla libertà, libertà delle coscienze, rifiuto della violenza per vincere e per convincere, ecc.

In una omelia pronunciata nel 1967 nel campus dell’Università di Navarra, San Josemaría, facendo riferimento a questi contenuti e apportando alcune chiavi di lettura, scrive: “E questa cristiana mentalità laicale vi consentirà di evitare ogni intolleranza e ogni fanatismo, ossia – per dirlo in modo positivo – vi farà convivere in pace con tutti i vostri concittadini e favorire anche la convivenza nei diversi ordini della vita sociale. So che non c’è bisogno che vi ricordi quello che sto ripetendo da tanti anni. Questa dottrina di libertà civile, di convivenza e di comprensione è un elemento di primissimo piano nel messaggio che l’Opus Dei diffonde” 52 .

Non propone, dunque, un’idea di pace e di comprensione generica, come se si trattasse di un gran bel desiderio, ma ne indica il fondamento, la filiazione divina, e una articolazione, la mentalità laicale, mettendo anche in evidenza che la convivenza e la comprensione sono una parte molto importante del messaggio.

Mentalità laicale e rifiuto del fanatismo

Come si nota nel testo appena citato, San Josemaría vincola la mentalità laicale (vale a dire, la mentalità del cristiano normale che segue Cristo in mezzo alle attività ordinarie) alla libertà, alla convivenza e al rifiuto del fanatismo. L’intolleranza è un fenomeno che anche oggi subiamo e la cui influenza si avverte nell’ambito della politica, della cultura, del pensiero, della religione, ecc. I suoi effetti, per il loro contenuto in termini di esclusione e di propagazione della violenza, sono la negazione della libertà e producono gravi danni alla convivenza.

San Josemaría sintetizzava la mentalità laicale in tre conclusioni, che indicano al cristiano una via da battere nella vita civile e che portano:

“a essere sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle proprie responsabilità;

a essere sufficientemente cristiani da rispettare i fratelli nella fede che propongono – nelle materie opinabili – soluzioni diverse da quelle che sostiene ciascuno di noi;

e a essere sufficientemente cattolici da non servirsi della Chiesa, nostra Madre, immischiandola in partigianerie umane” 53.

La mentalità laicale, radicata nella libertà propria e in quella altrui, oltre che nella responsabilità, induce a un impegno di convivenza e di comprensione, fondandosi proprio nelle convinzioni personali. La convivenza consiste nel vivere insieme sostenendo convinzioni diverse, e non nel fatto che tutti le abbiano uguali o che nessuno ne abbia qualcuna. La mentalità laicale stimola per questa strada una cultura più pacifica, che tende a evitare la conflittualità, non perché la ignora o perché pensa che la verità non esiste, ma per il modo in cui si affrontano le diversità54.

La mentalità laicale mostra tutti i suoi contorni alla luce della chiamata universale alla santità, il messaggio principale diffuso da San Josemaría attraverso l’Opus Dei, che comporta la dignità di ogni persona creata a immagine di Dio. Il cristiano, consapevole di questa dignità, resterà disponibile per tutte le persone senza discriminazioni di nessun tipo. D’altra parte, questa chiamata avviene in mezzo al mondo, nel luogo in cui si producono i cambiamenti, perché tutti, cristiani e non cristiani, li provocano e sospingono la storia. È il luogo dove nascono i conflitti e dove debbono essere ricomposti55 .

Con questa prospettiva di carità vissuta coerentemente sarà più difficile che il cristiano cada nel fanatismo verso i propri concittadini, siano o no fratelli nella fede. “Non c’è niente di più estraneo alla fede cristiana del fanatismo con cui vengono proposti strani connubi tra il profano e lo spirituale, qualunque ne sia il colore” 56 .

Nell’orizzonte della nuova evangelizzazione la mentalità laicale eviterà di considerare il mondo come qualcosa di estraneo alla fede, o con una mentalità di gente eletta57 che cercherà di trasformarlo dall’esterno58 . In questo caso, la posizione erronea nella quale si collocherebbero i cristiani determinerebbe immediatamente il tipo di relazione stabilita col mondo.

Il rifiuto del fanatismo vuol dire anche che non è legittimo rispondere al fanatismo col fanatismo. Tentare di superare il male con un altro male significa dare continuità al ciclo della vendetta e dell’aggressione. La vendetta non è una vera soluzione del problema. Il male si vince col bene, la menzogna con la verità. La diffusione della verità dev’essere accompagnata dalla carità.

D’altra parte, la mentalità laicale è tutto il contrario della passività o dell’inibizione: spinge a esercitare i propri diritti, ad adempiere i doveri civici, a impegnarsi per la verità, a praticare la fede in privato e in pubblico e a fare di tutto per trasformare la società.

Nell’inevitabile contrasto fra l’azione del cristiano nel mondo e una società paganizzata, sarà messa alla prova l’identificazione tra verità e carità. È proprio qui, nell’attività quotidiana, che il cristiano prenderà coscienza dell’importanza del suo ruolo di evangelizzatore, perché sarà proprio lui che, operando con libertà e assumendosi la relativa responsabilità, dovrà conciliare verità e carità in modo concreto.

Jaime Cárdenas del Carre

Dottore in Diritto Canonico (Università della Santa Croce, Roma)

Master in Polemologia (Universitat Oberta de Catalunya)

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