Le Catacombe di San Callisto

Poco tempo dopo essere arrivato a Roma, san Josemaría espresse il desiderio di andare a pregare alle catacombe. Il 4 luglio 1946 san Josemaría andò di buon mattino alle Catacombe di San Callisto.

Cripta dei Papi

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La persecuzione ordinata da Nerone nell’anno 64 portò al martirio una gran quantità di cristiani. Fu una dura prova per la giovane chiesa di Roma, che da quel momento dovette affrontare una terribile campagna di calunnie tra il popolo. I cristiani erano qualificati come atei – perché negavano di dare culto all’imperatore – pericolosi per l’unità dell’impero e nemici del genere umano; venivano loro attribuite le peggiori atrocità: infanticidi, antropofagia e disordini morali di ogni tipo. Tertulliano (160-220) lo descriveva così: Non c’è calamità pubblica né male che soffra il popolo di cui non abbiano la colpa i cristiani. Se il Tevere cresce ed esce dal suo letto, se il Nilo non cresce e non irriga i campi, se il cielo non fa piovere, se trema la terra, se c’è fame, se c’è la peste, uno stesso grido risuona subito: i cristiani alle fiere!1.

Fino all’anno 313, anno in cui si raggiunse la pace con l’Editto di Milano, la Chiesa visse perseguitata. È sicuro che queste persecuzioni non ebbero sempre la stessa intensità e che, togliendo alcuni periodi concreti, i cristiani facevano vita normale; ma il rischio di trovare il martirio era sempre presente: bastava l’accusa di un nemico perché iniziasse un processo. Chi si convertiva era pienamente consapevole che il cristianesimo comportava una opzione radicale che implicava la ricerca della santità e la professione della fede, arrivando, se necessario, alla donazione della propria vita. Il martirio era considerato tra i fedeli un privilegio e una grazia di Dio: la possibilità di identificarsi pienamente con Cristo al momento della morte. Insieme a ciò, la consapevolezza della propria debolezza li portava ad implorare l’aiuto di Dio per saperlo abbracciare, se si presentava l’occasione, e venerare come modelli coloro che avevano ottenuto la palma del martirio. È facile immaginare come avrà emozionato la comunità cristiana di Roma sentire i dettagli della morte santa dei fratelli nella fede. Questi racconti erano allo stesso tempo consolazione e fortezza per i credenti, e semina di nuove conversioni. Le reliquie dei martiri si raccoglievano e seppellivano con devozione, e a partire da quel momento ci si rivolgeva a loro come intercessori.

Fin dall’antichità, la legge romana stabiliva che le necropoli – città dei morti, in greco – fossero situate fuori dalle mura della città. Non seppellirai l’uomo morto né lo brucerai nell’Urbe2. I romani erano soliti incenerire i corpi dei defunti ma esistevano anche alcune famiglie che avevano la consuetudine di interrare i propri cari in campi di loro proprietà, consuetudine che si andò imponendo in seguito per influenza del cristianesimo.

Cripta di Santa Cecilia

All’inizio non c’era separazione e si seppellivano insieme fedeli e pagani. A partire dal II secolo, grazie alle donazioni di alcuni cristiani di buona posizione sociale, la Chiesa cominciò ad avere le proprie necropoli, che i fedeli cominciarono a chiamare cimiteri – coimeteria, dal greco koimao, dormire –: luoghi dove i corpi riposano in attesa della resurrezione. Così andarono sorgendo le catacombe cristiane, che non erano – come a volte si pensa – nascondigli e luoghi di riunione per le celebrazioni liturgiche, ma luoghi di sepoltura dove si custodivano i resti mortali dei fratelli nella fede. Originariamente, il termine catacomba si riferiva alla zona della via Appia che si trova tra la tomba di Cecilia Metella e la città di Roma. Con il tempo, smise di essere un toponimico per designare in generale il cimitero cristiano sottoterra. Nei primi secoli vennero seppelliti lì molti martiri, e, vicini alle tombe di San Pietro e San Paolo, le catacombe cominciarono a essere luoghi di memoria e venerazione molto amati dai cristiani di Roma. Quante volte, nei momenti difficili, saranno andati lì a implorare l’aiuto di Dio per intercessione di quelli che avevano proclamato il Vangelo con il loro sangue! Mossi dalla devozione era normale che i fedeli volessero essere sepolti e aspettare la resurrezione vicino a qualche apostolo o martire.

Nella via Appia

Le Catacombe di San Callisto si trovano all’uscita di Roma per la via Appia. Nel secondo secolo cominciò a utilizzarsi la zona come luogo di sepoltura, e alcuni dei suoi proprietari, indubbiamente cristiani, fecero in modo che fossero sepolti lì altri fratelli nella fede. In quest’epoca fu sepolta la giovane martire Cecilia, la cui memoria fu molto venerata dal momento stesso della sua morte. Appartenente a una famiglia patrizia, Cecilia si converte al cristianesimo in gioventù. Si sposa con Valeriano, che avvicina alla fede, e decidono di vivere da vergini. Poco dopo, Valeriano – che si occupava di raccogliere e seppellire i resti dei martiri – è scoperto e decapitato. Cecilia viene anche lei scoperta dalle autorità. Cercano di asfissiarla nella caldaia di casa sua e, dopo esserne uscita illesa, viene condannata a morte per decapitazione. La legge romana contemplava che il boia potesse dare tre colpi di spada. Cecilia li riceve ma non muore immediatamente. Stesa sul suolo, prima di esalare l’ultimo respiro, ebbe le forze per stendere tre dita della mano destra e uno della sinistra, testimoniando fino alla fine la sua fede in Dio Uno e Trino. Quando secoli dopo, nel 1599, si ispezionarono le sue reliquie, il corpo incorrotto di Santa Cecilia si trovava ancora in quella posizione. Maderno la immortalò in una scultura che oggi è nella chiesa di Santa Cecilia a Trastevere – la sua antica casa, dove riposano dal IX secolo le reliquie della santa – e di cui c’è una copia nelle Catacombe di San Callisto, nel luogo dove fu inizialmente sepolta.

Nel III secolo, il cimitero viene donato da Papa Ceferino (199-217), che ne affida la gestione al diacono Callisto. Nasce così il primo cimitero di proprietà della Chiesa di Roma, che un secolo dopo custodirà già le reliquie di sedici papi, quasi tutti martiri. Callisto lavorò nelle catacombe per quasi vent’anni, prima di diventare il successore di Papa Ceferino come capo visibile della Chiesa. Durante questo tempo, ampliò e migliorò la disposizione delle aree principali del cimitero: specialmente, la Cripta dei Papi e la Cripta di Santa Cecilia.

Sepolcro del IV secolo

Un altro martire che con la sua testimonianza commosse la comunità cristiana è San Tarcisio. Nel IV secolo, il Papa San Damaso incise sul suo sepolcro la data esatta del suo martirio: 15 agosto 157, durante la persecuzione di Valeriano. Tarcisio era un adolescente che aiutava come accolito a distribuire la Comunione tra i cristiani prigionieri nelle carceri. Quel 15 agosto fu scoperto, fatto prigioniero e minacciato perché lasciasse le Particole Sacre. Tarcisio non volle e preferì morire lapidato piuttosto che permettere la profanazione del Corpo di Cristo.

Con la Pace di Costantino, le catacombe continuano ad essere luoghi di sepolture e diventano anche meta di pellegrinaggio. Tuttavia nel V secolo, dopo il saccheggio di Roma portato a termine da Alarico, aumenta la insicurezza all’esterno delle mura della città e saranno sempre meno frequentate. Nel IX secolo, si decide di portare le ossa dei santi nelle chiese che sono dentro la città; durante il Medioevo le catacombe vanno progressivamente cadendo in dimenticanza: nessuno va più in quei luoghi e in molti casi si perde la memoria della loro ubicazione.

Anche se l’interesse per le catacombe rinasce a partire dal XV secolo, bisognerà aspettare fino al XIX perché tornino ad essere valorizzate come luogo santo e tesoro della cristianità. Giovanni Battista De Rossi, fondatore dell’archeologia cristiana moderna e scopritore delle Catacombe di San Callisto, racconta nelle sue memorie come convinse Pio IX a visitare gli scavi. Quando arrivarono alla Cripta dei Papi, De Rossi gli spiegò le iscrizioni e gli mostrò la lapide che San Damaso fece collocare nel IV secolo con i nomi dei successori di Pietro martirizzati e lì sepolti. Fu allora che Pio IX prese coscienza di dove si trovava. Era la prima volta, dopo quasi mille anni, che un Papa tornava a mettere piede in questo luogo santificato dal sangue dei martiri.

4 luglio 1946

Poco tempo dopo essere arrivato a Roma, san Josemaría commentò il suo desiderio di andare a pregare alle catacombe.

Vedete che non siamo soli?, diceva ai suoi figli durante la chiusura forzata nella Legazione di Honduras, anni prima. Come i primi cristiani nella quiete delle catacombe romane, possiamo pregare: Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo? Solo così possiamo spiegarci le lotte, veramente forti, che portarono a compimento quei primi cristiani. Con una fiducia sicura nell’aiuto di Dio, senza fare cose strane, entrarono ovunque: nel foro, nei palazzi, fino alla casa dell’imperatore 3.

Il 4 luglio 1946 san Josemaría andò di buon mattino alle Catacombe di San Callisto. Il Fondatore dell’Opus Dei celebrò la Santa Messa nella Cripta dei Papi, e don Álvaro del Portillo in quella di Santa Cecilia. Poi visitarono le Catacombe di San Sebastiano e i primi sepolcri degli Apostoli.

Dagli inizi dell’Opera, a san Josemaría piaceva citare i primi cristiani come modello ed esempio per spiegare la vita dei fedeli dell’Opus Dei. Non a caso li qualificava come i nostri predecessori, nel vecchio e nuovissimo apostolato dell’Opera4. Si calcola che il numero di sepolture cristiane nelle catacombe di San Callisto sia intorno alle 500 mila. La maggior parte sono tombe semplici, con qualche semplice incisione per distinguerle. A partire dal IV secolo – finita la persecuzione – diventano più frequenti le iscrizioni sulle lapidi. Insieme al nome, come per segnalare un elemento caratteristico della vita di quella persona, si soleva indicarne la professione.

Immagine del Buon Pastore

C’erano panettieri, falegnami, sarti, pittori, maestri, medici, avvocati, funzionari dello Stato, soldati…: un chiaro riflesso della varietà dei lavori dei cristiani, che – come dice Sant’Agostino – mescolati tra gli altri uomini, facevano la vita di tutti, ma spinti da una fede diversa e da un amore diverso5. Come avrà goduto san pensando a quei predecessori nella fede che cercavano la santità in mezzo al mondo, essendo fermento nella massa della società! L’amore e la venerazione che sentiva per loro, lo portava a metterli molte volte come esempio nella sua predicazione: Non ho altra ricetta per essere efficace che quella che avevano i primi cristiani. Non ce n’è un’altra, figli miei6.

Lungo la sua vita, il Fondatore dell’Opus Dei si riferì molte volte a pitture o incisioni presenti nelle catacombe per illustrare temi come l’amore per la Madonna, la fraternità o l’unità con il Papa, che testimoniavano già graficamente i fedeli dei primi secoli. Ciononostante, se avesse dovuto dire una immagine dei primi cristiani che gli piaceva specialmente, sicuramente avrebbe parlato del Buon Pastore.

Nella stanza di lavoro di san Josemaría a Villa Tevere si mise una lapide di travertino con una riproduzione del Buon Pastore che si trova nelle catacombe, e questi versi di Juan del Enzina: Tan buen ganadico / y más en tal valle, / placer es guardalle. / Y tengo jurado / de nunca dejalle, / mas siempre guardalle (un così bel gregge in una tal valle è un piacere custodirlo. E ho giurato di non lasciarlo mai ma di curarlo per sempre). Dal primo giorno, quel 2 ottobre 1928, sento la spinta divina, paterna e materna, verso di voi e le vostre vite. Niente di nessuno di voi mi è estraneo, neanche di queste migliaia di figli che non conosco7.

Gli piaceva parlare del Buon Pastore per fomentare la nostra preoccupazione per tutte le anime: Signore, sento la necessità di aiutarli: seguili Tu stesso, Buon Pastore, e caricateli sulle spalle: che si riproduca quella figura amabilissima che contempliamo nelle catacombe. Quando il pastore trova la pecora che ha perso, se la mette sulle spalle e felice, tornato a casa, chiama amici e vicini e dice loro: rallegratevi con me, perché ho ritrovato la pecora che si era perduta8.

Durante la sua vita il fondatore dell’Opus Dei non solo ci parlò del Buon Pastore, ma lottò anche per esserlo, incarnando queste parole che Cristo pronuncia nel Vangelo: Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore dà la sua vita per le sue pecore9. Come ha testimoniato il Prelato dell’Opus Dei, san Josemaría meditò per tutta la vita le scene evangeliche del Buon Pastore. Amava moltissimo questa allegoria ed era disposto a conoscere le pecore una ad una; a dare la vita per loro, a portarle ai migliori pascoli, a non smettere di curare quella che si era perduta o fermata lungo il cammino10.

All’entrata delle Catacombe di San Callisto, prima di scendere le scale che portano alla Cripta dei Papi, si può vedere un’immagine del Buon Pastore, copia dell’originale del IV secolo che ora si trova ai Musei Vaticani. Ce n’è una uguale anche a Villa Tevere, vicino alla chiesa Prelatizia di Santa Maria della Pace, dove riposano i resti di san Josemaría. Vedendola, sono innumerevoli i ricordi che evoca: Gesù, i primi cristiani, il Papa, tutte le anime… Con che tenerezza parlava Cristo, Signore nostro, del Buon Pastore! Come lo descrive! Ci dice che le pecore seguivano il pastore, lo amavano e si sapevano ben curate… 11.

Note

1. Tertulliano, Apologeticum, 40, 12.

2. Dodici Tavole, 10.1.

3. San Josemaría, AGP, P12, p. 32.

4. San Josemaría, Istruzione, n. 298.

5. Sant’Agostino, De civitate Dei, 54, 2.

6. San Josemaría, Appunti presi dalla predicazione orale, 29-II-1964.

7. San Josemaría, AGP, P18, pp. 151-152.

8. San Josemaría, AGP, P18, p. 276.

9. Gv 10, 11.

10. Mons. Javier Echevarría, Memoria del Beato Josemaría, p. 329.

11. San Josemaría, Appunti presi in una tertulia, 13-III-1955.