La memoria di san Paolo

Fra i primi Cristiani a Roma ci furono i discepoli di San Paolo, come è evidente leggendo la lunga lista di saluti alla fine della Lettera ai Romani.

Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma

Sul colle dell’Aventino a Roma vivevano Aquila e Prisca (o Priscilla), una coppia di sposi, commercianti, che avevano già incontrato San Paolo a Corinto. Altri a cui erano indirizzati i saluti erano originari della Palestina, della Grecia, dell’Asia Minore che si erano trasferiti a Roma, la capitale dell’Impero, dopo aver sentito San Paolo predicare il Vangelo nelle loro terre d’origine.

Il tono affettuoso dei saluti riflette lo spirito di fraternità che esisteva fra queste prime comunità di fedeli. Nonostante la diversità delle loro origini e delle loro posizioni sociali che andavano dalla condizione di schiavi all’appartenenza alla nobiltà, essi erano tutti molto uniti fra loro.

San Josemarìa li descriveva come "famiglie che vivevano in unione con Cristo e che lo facevano conoscere agli altri. Piccole comunità cristiane che costituivano centri di diffusione del messaggio del Vangelo. Famiglie non diverse dalle altre di quei tempi, ma che vivevano con uno spirito nuovo, che comunicavano a tutti quelli che entravano in contatto con loro. Questo erano i primi cristiani, e questo è ciò che dovrebbero essere i cristiani oggi: costruttori di pace e di gioia, la pace e la gioia che ci ha portato Gesù".

Le abitazioni di San Paolo a Roma

In questa atmosfera di intima unione, l’arrivo di San Paolo fu ovviamente causa di immensa gioia fra i Cristiani di Roma. Come abbiamo detto, alcuni di loro dovevano la loro fede a lui, e tutti avevano sentito parlare di lui e erano entusiasti di incontrarlo. Per di più gli erano davvero grati per la lettera che aveva loro scritto intorno agli anni 57 o 58. Era perciò naturale che essendo tanto impazienti di vederlo gli andassero incontro sulla Via Appia. Alcuni lo incontrarono al Foro di Appio e altri alle Tre Taverne, rispettivamente a 69 e 53 chilometri fuori Roma. Gli Atti degli Apostoli annotano che vedendoli Paolo rese grazie e si rincuorò .

Una volta arrivato a Roma, intorno alla metà del 61, Paolo fu autorizzato ad abitare in una casa privata con un soldato di guardia. Essendo cittadino romano egli aveva diritto a questo tipo di arresto conosciuto come custodia militaris, custodia militare, qualcosa a metà fra la custodia libera, libertà condizionata, e la custodia publica, detenzione vera e propria. Il prigioniero poteva scegliere il luogo di residenza e il soldato che lo avrebbe tenuto in custodia era tenuto a stare con lui tutto il tempo e a tenerlo alla catena tutte le volte che si allontanava dalla dimora. Secondo un’antica tradizione, San Paolo viveva in una casa in affitto vicino alla grande ansa del fiume Tevere all’altezza dell’Isola Tiberina. Era un’area densamente popolata dove vivevano anche un gran numero di Giudei. Risultanze archeologiche mettono in evidenza che gran parte di essi erano conciatori.

Sul luogo della casa di San Paolo ora si erge la chiesa di San Paolo alla Regola, l’unica chiesa dedicata a San Paolo situata dentro le antiche mura di Roma. Entrando, a destra si può leggere su un architrave l’iscrizione Divi Pauli Apostoli Hospitium et schola, -abitazione e scuola di San Paolo Apostolo. Nella stessa area è stato localizzato un edificio risalente all’era imperiale che, come altri nelle vicinanze, aveva attaccato ad esso un grande granaio. Questo fatto comprova la descrizione della casa di San Paolo trovata in alcuni documenti risalenti al secondo secolo; il grande granaio spiega come era possibile per San Paolo, arrivato da poco a Roma, riunire un così gran numero di Giudei che vivevano a Roma e annunciar loro il Regno di Dio.

Nel luogo della casa dove un tempo viveva San Paolo sorge oggi la chiesa di S.Paolo alla Regola

Il risultato di questo incontro fu che alcuni dei Giudei si convertirono, ma peraltro San Paolo incontrò anche una considerevole resistenza al messaggio del Vangelo. Come risultato, egli prese la risoluzione che da allora in poi egli si sarebbe rivolto ai Gentili, poiché questi ultimi erano pronti ad ascoltare il messaggio di salvezza.

San Paolo rimase in quella casa per due anni, diffondendo il fuoco della sua fede e del suo amore per Cristo nel cuore stesso della Roma imperiale. Prigioniero o, comunque, privo della libertà di movimento, egli era nondimeno convinto che per coloro che amano Dio tutto concorre al bene, e perciò poteva scrivere ai 'Filippesi' "12Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, 13al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; 14in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno".

San Josemarìa ci incoraggiava a seguire l’esempio di San Paolo e aiutare gli altri a rivolgersi a Dio. "Se meditiamo con criterio spirituale quel testo di san Paolo, comprenderemo di non avere altra scelta che di lavorare al servizio di tutte le anime. Fare diversamente sarebbe egoismo. Se consideriamo con umiltà la nostra vita, vedremo chiaramente che il Signore, oltre alla grazia della fede, ci ha concesso dei talenti, delle qualità. Nessuno di noi è un esemplare ripetuto in serie: Dio nostro Padre ci ha creati a uno a uno, distribuendo tra i suoi figli un diverso numero di beni. Dobbiamo mettere quei talenti, quelle qualità, al servizio di tutti, utilizzando i doni di Dio come strumenti per aiutare gli altri a scoprire Cristo."

L’attività missionaria della Chiesa primitiva a Roma fu benedetta da Dio con abbondanti frutti. I Cristiani convertivano le persone attraverso l’apostolato personale e, durante la sua prigionia, San Paolo fu in grado di mandare alle altre chiese i saluti da parte di Cristiani che vivevano nella stessa casa dell’Imperatore (Fil. 4: 22). Questi "santi che sono nella casa di Cesare" erano probabilmente funzionari che lavoravano nell’amministrazione dell’Impero. I Cristiani a Filippi devono essere stati felici di vedere che il Vangelo era penetrato anche in quegli ambienti attraverso i quali si poteva fare così tanto per cambiare la società.

Il luogo del martirio di San Paolo

La fine degli Atti degli Apostoli ci racconta di come Paolo rimase per due interi anni nella sua casa in affitto e di come ricevesse tutti quelli che andavano a trovarlo. Predicava il Regno di Dio e insegnava tutto su nostro Signore Gesù Cristo.

Tutto sembra indicare che alla fine di quel periodo, il massimo consentito nel diritto romano per la custodia militaris, San Paolo poté riacquistare la libertà e visitare altri posti. Nella Lettera ai Romani, anni prima, egli aveva scritto della sua intenzione di andare in Spagna per predicarvi il Vangelo, e forse realizzò questa intenzione nell’anno 63.

Dalle ultime lettere, quelle a Timoteo e a Tito, si può dedurre che tra il 63 e il 66 o 67 S. Paolo visitò diverse città in Grecia e in Asia Minore. Nel frattempo, durante l’estate del 64, era cominciata a Roma la crudele persecuzione di Nerone contro i Cristiani, che si era poi estesa ad altre parti dell’Impero Romano. Paolo venne probabilmente catturato a Troade, poiché egli lasciò quella città senza poter portare niente con sé, neanche il mantello . Dopo il suo arresto fu portato nuovamente a Roma e posto sotto la sorveglianza di un certo numero di soldati.

Questa seconda prigionia fu più dura della prima. Era una custodia publica, il che significava che egli era tenuto in galera come un criminale comune. Paolo era vecchio e stanco, e trovò duro sopportare la separazione dai suoi più intimi compagni. Solo Luca, il medico fedele, rimase con lui, e San Paolo scrisse a Timoteo di raggiungerlo a Roma il più presto possibile .

Alcuni dei suoi discepoli lo avevano abbandonato nell’ora del bisogno, soprattutto lo colpì l’abbandono di Dema che lo abbandonò "avendo preferito il secolo presente". "Per una bagatella, e per paura delle persecuzioni, un uomo che san Paolo in altre lettere cita tra i santi, ha tradito l'impresa divina. Mi fa tremare, conoscendo la mia piccolezza; e mi porta a esigere la mia fedeltà al Signore anche nelle occasioni che possono apparire indifferenti, perché, se non mi servono per unirmi di più a Lui, non ne voglio sapere!". (S. Josemaría Escrivá, Forgia, 343.)

Completamente privato della libertà e colpito al cuore da queste infedeltà, San Paolo soffriva come solo coloro il cui amore è smisurato possono soffrire. Allo stesso tempo, essendo assoluta la sua fiducia in Dio, poteva esclamare, "8Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, 9a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! 10Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna." (2 Tim. 2:8-10)

Sotto l’Altare della Confessione della Basilica è stato trovato un sarcofago marmoreo. Nell’immagine, sotto il pavimento di cristallo sono visibili le fondazioni dell’antica Basilica; il sarcofago si trova dietro la grata che si intravede sulla sinistra

I Cristiani di Roma cercarono di tenersi vicini a San Paolo e al suo ministero per tutto il tempo che fu loro possibile sotto la persecuzione. San Paolo manda a Timoteo i suoi saluti, con Eubulo, Pudente, Lino e Claudia citati per nome . All’epoca di questa lettera all’amatissimo discepolo, Paolo aveva avuto la prima udienza davanti al tribunale ed il processo era stato rinviato . Sapeva che gli restavano pochi mesi e perciò invita Timoteo ad affrettarsi a venire a Roma prima dell’inverno.

Comunque Paolo non nutriva alcun dubbio circa la sentenza definitiva. "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione".

Non sappiamo se Timoteo arrivasse in tempo per dare l’ultimo abbraccio all’uomo a cui lui e la sua famiglia erano debitori della loro fede. Paolo fu condannato a morte e giustiziato dieci giorni dopo la sentenza, come voleva la legge. In quanto cittadino romano egli venne decapitato fuori delle mura della città e non con una esecuzione pubblica.

Il luogo del martirio di San Paolo si trova in quello che adesso è il quartiere EUR, a sud di Roma. Gli abitanti della città lo identificavano come ad Aquas Salvias. Il luogo venne adibito a cimitero fin dal terzo secolo e vi fu eretta una chiesa nel quarto o quinto secolo. Secondo antiche tradizioni, San Paolo fu decapitato vicino alla strada principale, su un pezzo di terreno rialzato, vicino ad un pino; quando la sua testa cadde sul terreno in pendenza, rimbalzò per tre volte facendo sgorgare miracolosamente tre sorgenti d’acqua. Per questa ragione la chiesa costruita più tardi sul luogo venne chiamata San Paolo alle Tre Fontane.

La tomba nella Basilica di San Paolo fuori le Mura

Il corpo di San Paolo fu sepolto in un cimitero situato sulla Via Ostiense. I Cristiani costruirono la sua tomba come un trophaeum, un modesto monumento simile a quello della tomba di San Pietro. Il prete Gaio, alla fine del secondo secolo, parlò dei monumenti degli Apostoli che avevano fondato la Chiesa di Roma che erano sul colle Vaticano e sulla Via Ostiense.

Dopo l’editto di Milano del 313 d.C., l’imperatore Costantino fece costruire una basilica per custodire e venerare la tomba dell’Apostolo delle Genti. Non era molto grande, ma alla fine del quarto secolo venne ingrandita con la costruzione della Basilica dei Tre Imperatori, così chiamata perché la costruzione era stata iniziata sotto l’imperatore Valentiniano II, continuata sotto l’imperatore Teodosio, e completata dall’imperatore Arcadio. Il cuore di questa seconda basilica, come della prima, era la tomba di San Paolo: in entrambi i casi l’altare era posto immediatamente sopra la tomba.

La basilica odierna risale al diciannovesimo secolo, dopo che la precedente venne distrutta dal fuoco nel 1823. durante i lavori di costruzione, l’area stessa della tomba venne scoperta e due architetti tracciarono alcuni schizzi della posizione e di come si presentava.

Oltre questi schizzi approssimativi non si conosceva molto altro circa la tomba, finchè nel dicembre 2006 non venne data la notizia del ritrovamento di un sarcofago di marmo situata nella Confessio, l’area sotto l’altare della Basilica. Si pensò che proprio in questo sarcofago fossero stati posti i resti mortali di San Paolo. La semplicità del sarcofago contrasta con la ricercatezza artistica di altri sarcofagi ritrovati nelle vicinanze intorno alla metà del diciannovesimo secolo.

La qualità differente può attribuirsi al fatto che gli Imperatori, sapendo che esso conteneva i resti dell’Apostolo, avevano preferito lasciarlo così com’era e non sostituirlo con uno più ricco.

Il 14 dicembre 2006, Sua Beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, si recò a pregare nella Basilica

Poco dopo la pubblicazione della notizia del ritrovamento di questo sarcofago, il 14 dicembre 2006, Sua Beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, si recò a pregare nella Basilica. Lo stesso giorno aveva reso visita al Papa in Vaticano. Si erano scambiati doni che esprimevano la volontà di raggiungere l’unità: un dipinto della Vergine Maria Panaghia – tutta santa – e una icona con la classica immagine dei Santi Pietro e Paolo che si abbracciano.

Era la prima volta che il Primate della Grecia rendeva visita ufficiale al Papa. Questo fatto, indubbiamente, ci incoraggia a pregare con ancor più fervore per l’unità dei cristiani. L’ecumenismo è per tutti i cristiani un obiettivo a cui lavorare. Il Fondatore dell’Opus Dei, San Josemarìa, cercò di sostenerlo e promuoverlo durante l’intera vita, in modo tale che la bellezza e l’attrattiva della fede potessero essere messe in evidenza nell’abito dei suoi incontri con amici non cattolici.

Una volta, per esempio, parlando di un libro che aveva in animo di scrivere, disse "Vi esporrò le mie opinioni, che spero saranno rispettate da chi pensa diversamente, come io rispetto tutte le opinioni diverse dalla mia, come rispetto tutte le persone di cuore grande e generoso, anche se non hanno in comune con me la fede di Cristo. Vi racconterò un episodio che si è ripetuto tante volte, e l'ultima qui, a Pamplona. Mi si avvicinò uno studente che voleva salutarmi.

- Monsignore, io non sono cristiano, - mi disse - sono musulmano.

- Tu sei figlio di Dio come me - gli risposi. E lo abbracciai con tutto il cuore."