La libertà, la politica e l’Opus Dei

Raccogliamo alcuni testi in cui si nota l’atteggiamento di San Josemaría su temi politici, di fronte a calunnie e false informazioni sull’Opus Dei.

Raccogliamo alcuni testi del libro Il Fondatore dell’Opus Dei (III), di A. Vázquez de Prada in cui si nota l’atteggiamento di San Josemaría su temi politici, di fronte a calunnie e false informazioni sull’Opus Dei.

Le difficoltà che l’Opera incontrò negli anni Sessanta non provenivano dall’opposizione di una sola persona o di un determinato gruppo. Il Fondatore dovette affrontare resistenze di ogni genere, come accade a qualsiasi istituzione di un certo peso storico. Qualcosa è già stato detto in relazione al periodo postconciliare. Si può aggiungere che ci furono attacchi provenienti dagli ambienti politici. Il Fondatore dovette affrontare nuove dicerie e falsità sull’Opera, che venivano periodicamente diffuse.

Le campagne diffamatorie ebbero origine in Spagna e si estesero ben presto ad altri Paesi. Il Fondatore vi era talmente abituato che le contrarietà non gli facevano perdere la pace o la gioia, ma solo il tempo. Dietro agli attacchi all’Opera era solito vedere la Provvidenza di Dio, che li utilizzava come strumenti di purificazione spirituale. Durante una di queste campagne, così scriveva ai suoi figli, con grande serenità:

“Non abbiamo mai smesso di vedere l’intervento della Provvidenza Divina nelle manciate di fango che periodicamente ci vengono buttate addosso, con una frequenza che permette di individuare la mano poco pulita di alcuni santi uomini e dei loro corifei... Benedico Dio, perché quando il Nilo usciva dal suo letto, poi vi ritornava – tutto torna sempre vittoriosamente a posto – e i campi inondati restavano asciutti e fecondi”1.

Non ingaggiava una lotta senza quartiere con chi lo insultava. Era una gara d’amore e una semina di pace e di gioia. Furono attacchi e campagne denigratorie condotti talvolta con passionalità, con settarismo o malafede. In quei casi, il consiglio del Fondatore era: “Comprendere che non ci comprendano” 2, atteggiamento liberale e generoso di chi è pronto a perdonare gli errori e a rivestirsi dei sentimenti di Cristo, per voler bene sia ai fratelli in Cristo, sia ai nemici della Chiesa, che vorrebbero rinchiudere i cristiani nelle catacombe.

“Non cambiamo le carte in tavola: è logico che i nemici di Dio e della sua Chiesa non ci amino. Ed è altrettanto logico che, nonostante tutto, noi li amiamo: caritas mea cum omnibus vobis in Christo Iesu!3”.

A parole e con gli scritti, il Fondatore non si stancava mai di parlare di libertà ai suoi figli. Perché lo faceva? Il motivo sarebbe potuto essere la situazione politica della Spagna dopo tanti anni di governo autoritario, ma in realtà l’insistenza di mons. Escrivá non riguardava esclusivamente questo o quel Paese. La sua dottrina aveva una profonda dimensione fondazionale e per questo insisteva tanto su questo tema: “Non mi stancherò mai di ripetere che una delle caratteristiche più evidenti dello spirito dell’Opus Dei è l’amore per la libertà e per la comprensione: sul piano umano, voglio lasciarvi in eredità l’amore per la libertà e il buon umore”4.

San Josemaría brandiva alta la bandiera della libertà. Ringraziava Dio di tutto cuore perché gli aveva concesso di affrontare “la grande avventura della libertà”5. Non appena i suoi figli arrivavano all’Opera, insegnava loro la libertà.

La sua vita fu una continua lotta per la libertà di spirito, perché soltanto la libertà personale rende l’uomo “capace di meritare o di offendere, di perdonare o di serbare rancore, di odiare o di amare”6. Inoltre, il “dono prezioso della libertà” che il Fondatore esaltò tante volte, era così necessario che, se mancava, gli apostolati dell’Opus Dei soffocavano. “La libertà e la conseguente responsabilità sono il sigillo dell’attività laicale, anche nell’apostolato”7.

La libertà, “caratteristica essenziale dello spirito” dell’Opus Dei, era implicita, fin dal 1928, nella vita e nell’apostolato dei suoi futuri membri. “Anche tra i cattolici che sembrano responsabili e devoti, è frequente l’errore di pensare di essere obbligati soltanto a compiere i propri doveri familiari e religiosi e non i doveri civici. Non è egoismo, ma solo mancanza di formazione”8.

Di conseguenza, il Fondatore difendeva energicamente il diritto dei cattolici di intervenire attivamente nella vita pubblica. A coloro che si impegnavano nei partiti politici, nella pubblica amministrazione o rivestivano cariche di governo, aveva sempre ricordato che lo facevano a titolo personale. Un principio molto chiaro. Don Josemaría, per esempio, scrisse che in politica ogni membro dell’Opera è personalmente libero e, dunque, unico responsabile delle proprie azioni o idee: “I Direttori dell’Opera non potranno mai imporre un criterio politico o professionale, ossia temporale, ai propri fratelli”9.

A chi aveva scelto la politica come professione, ripeteva: “Come tutti gli altri membri dell’Opera, voi, quando operate nel vostro ambito, non fate valere la vostra condizione di cattolici né di membri dell’Opus Dei; non vi servite della Chiesa né dell’Opera: perché sapete che non potete immischiare né la Chiesa di Dio né l’Opera in cose contingenti (…). Voi che sentite vocazione per la politica lavorate senza timore e tenete presente che, se vi tiraste indietro, fareste un peccato di omissione. Lavorate con serietà professionale, senza trascurare le esigenze tecniche del vostro lavoro, per prestare un servizio cristiano a tutto il vostro Paese, pensando alla concordia fra le nazioni”10.

L’Opus Dei rimane, quindi, fuori dalla politica: “Libertà, figli miei. Non aspettatevi mai che l’Opera vi dia consegne temporali”11.

In quegli anni, in Spagna, il diritto di scelta e di azione politica di cui deve godere ogni cittadino non era rispettato, perché il regime del Generale Franco era nato durante la guerra civile (1936-1939), ed era costruito su premesse che offrivano giustificazione a un esercizio autoritario e personale del potere.

Nel 1957 Franco volle rinnovare il Governo12 e distribuì gli incarichi fra le forze politiche che componevano il Movimento Nazionale: falangisti, tradizionalisti carlisti, democratici cristiani franchismi, monarchici legittimisti, e, come aveva già fatto in precedenza, personaggi al vertice della Pubblica Amministrazione di cui apprezzava la competenza professionale13. Motivo del cambiamento furono lo studio e l’applicazione delle riforme sociali, politiche, amministrative ed economiche di cui la nazione aveva bisogno. Ad ogni modo, il nuovo governo era il prodotto della concezione di unità nazionale, politica e sociale del Capo dello Stato, che escludeva il pluralismo politico e sociale14.

Uno degli obiettivi del nuovo Governo era di allineare l’economia spagnola a quella del mondo occidentale. I colloqui con il Fondo Monetario Internazionale e con la OCSE misero in evidenza la necessità di un piano di stabilizzazione e di misure liberalizzatici proprie di un’economia di mercato. Se ne occuparono il Ministro delle Finanze Mariano Navarro Rubio e il Ministro del Commercio, Alberto Ullastres, sostenuti dal consenso della maggior parte degli operatori economici. Il Piano di Stabilizzazione fu approvato nel luglio 1959. Due anni dopo cominciarono gli studi per i futuri Piani di Sviluppo, che consentirono l’espansione dell’economia.

La presenza nel Governo spagnolo di due membri dell’Opus Dei, Navarro Rubio e Ullastres, suscitò commenti di diversa natura negli ambienti politici e sociali. Alcuni settori del Movimento Nazionale li definirono, in senso spregiativo, ‘tecnocrati’15, per alludere con questa etichetta alla loro appartenenza all’Opus Dei e squalificarli sul piano politico. In realtà, se costoro furono nominati ministri fu soltanto per volontà di Franco, che assommava tutti i poteri dello Stato, e, naturalmente, per loro libera scelta.

Il far parte dell’Opus Dei non ne condizionò mai le decisioni politiche, salvo per quanto riguarda il rigore professionale e la sensibilità morale nell’esercizio del mandato. Anch’essi, come gli altri colleghi di governo cattolici16, cercavano di prendere secondo coscienza le decisioni di carattere politico ed erano consapevoli che l’azione politica doveva rispecchiare la fede che professavano17.

Diversi testimoni raccontano che, dopo la nomina di Alberto Ullastres, un Cardinale si sentì in dovere di congratularsi con il Fondatore, il quale, però, lo interruppe con decisione: “A me non interessa per nulla, non mi riguarda; per me è lo stesso che sia ministro o spazzino: l’unica cosa che mi interessa è che si faccia santo con il suo lavoro”18.

Il successo del piano di stabilizzazione rese possibili i successivi Piani di Sviluppo19. Nel corso del 1962, giravano voci di cambiamenti nel Governo, anche per dare risposta alle domande di una società sempre più consapevole dei propri diritti politici e sociali20. Durante la crisi di Governo21, il Fondatore seppe che in alcuni settori della vita pubblica spagnola l’Opera era considerata come un gruppo politico. La Segretaria Generale dell’Opus Dei emise allora un comunicato che, fra l’altro, affermava: “I membri dell’Opus Dei sono completamente liberi nel pensiero e nell’azione politica, come qualsiasi altro cittadino cattolico. Dentro l’istituzione possono esserci, e di fatto ci sono, persone di idee politiche differenti e addirittura opposte, ma l’Opus Dei non ha assolutamente nulla a che vedere con i meriti o i demeriti dell’azione personale dei suoi membri. Deve essere dunque chiaro che l’Opus Dei non è legato a nessuna persona, a nessun regime e a nessuna idea politica”22.

Non era raro che persone in visita dal Fondatore, sia autorità civili che ecclesiastiche, gli domandassero perché l’Opus Dei non assumesse una posizione politica chiara, per far capire da che parte stava. Oppure perché non dava ai suoi figli orientamenti in questo campo.

Il Fondatore non si stancava di ripetere loro che “i membri dell’Opus Dei svolgono l’azione politica in piena libertà, nella misura che ritengono opportuna e quindi con responsabilità personale, secondo quanto detta loro la propria coscienza di cittadini cristiani, e non tollerano che altri possano essere coinvolti nelle legittime decisioni che ciascuno di loro ha preso”23.

Gli venivano fatte molte pressioni perché obbligasse i membri dell’Opus Dei a ritirarsi dal Governo spagnolo. Ma egli rispondeva che non era in suo potere limitare o condizionare la libertà di qualsiasi suo figlio. Non competeva a lui pronunciarsi autorevolmente sotto il profilo dottrinale su un regime politico, ma alla Santa Sede o ai Vescovi del Paese in questione24. Intimare ai suoi figli di ritirarsi da quello o da qualunque altro governo non condannato dall’autorità ecclesiastica sarebbe stato un tradimento dello spirito dell’Opus Dei.

Negli anni Sessanta, mentre era in corso una violenta campagna contro l’Opera in diverse nazioni, uno dei Direttori della Commissione Regionale della Spagna ricorda di avergli sentito dire una semplice frase, che nascondeva tuttavia grandi sofferenze: “Figlio mio, se questi tuoi fratelli non fossero ministri, io avrei molti meno problemi; ma se io dessi questa indicazione, non rispetterei la loro libertà e distruggerei l’Opera”25.

La lontananza dalla Spagna e la vita ritirata a Roma non scongiuravano il trattamento ingiusto e calunnioso di cui veniva fatto periodicamente oggetto, anche da parte di vari organi di stampa. Egli non perdeva la pace, né vi dava troppa importanza. Quando, tuttavia, gli attacchi contro l’Opera diventarono attacchi contro la Chiesa, il Fondatore, per difenderla, il Fondatore, per difenderla, non volle più sopportare in silenzio le ingiurie.

Accadde nei primi mesi del 1964, quando in Olanda si scatenò una durissima campagna contro l’Opus Dei, con ripercussioni in molti altri Paesi. Motivo? La principessa Irene, figlia della regina di Olanda, si era convertita al cattolicesimo e un sacerdote dell’Opus Dei era stato lo strumento di Dio per la sua conversione.

Il Padre, per dissipare la tristezza e il timore dei suoi figli in Olanda, scrisse loro invitandoli a seguire la sua bella norma di condotta:

“Quando il Signore permette che gruppi di fanatici si sfoghino, con tante calunnie, è segno che voi e io dobbiamo saper tacere, pregare, lavorare, sorridere… e aspettare. Non date importanza a queste sciocchezze: amate veramente tutte le anime. Caritas mea cum omnibus vobis in Cristo Iesu!”26.

Della gravità e della viltà degli attacchi rende l’idea la lettera che il 27 marzo 1964 il Fondatore inviava a mons. Jan Van Dodewaard, Vescovo di Haarlem, per fargli gli auguri di Pasqua:

“Continuano ad arrivarmi da codesta amata Nazione pubblicazioni nelle quali ci riempiono di ingiurie, di falsificazioni e di calunnie così mostruose che, nonostante sia quasi un sacerdote anziano, non me le sarei potute immaginare neppure lontanamente. Ma non si preoccupi, Eccellenza, perché tutto ciò mi fa amare ancor di più l’Olanda e tutti gli olandesi”27.

Si vede con chiarezza che il suo programma abituale con cui affrontava le contrarietà (“tacere, pregare, lavorare e sorridere”) si avviava a una sostanziale modifica, con la ferma decisione di procedere a proclamare la verità, ad assumere la difesa dell’onore di Dio, della Chiesa e del Romano Pontefice.

Un atteggiamento insieme coraggioso e caritatevole, che nasceva dal proposito di non tollerare infamie contro Dio e coloro che lo servono. Diverso era il caso delle ingiurie personali, che avrebbe comunque sopportato come aveva sempre fatto.

“Dovete sempre stare all’erta: vigilate et orate, sempre sereni, con la gioia, la pace e il coraggio di chi è nel giusto. Non possiamo tacere, perché l’Opera, nostra Madre, è e sarà ancora minorenne, nonostante il passare degli anni, e ha bisogno che i suoi figli la difendano veritatem facientes in caritate. Ho scritto al Santo Padre tre volte, e oggi la quarta, perché bisogna toglierci il fango di dosso. Devo dire che il Papa ha per noi molto affetto e lo dimostra”28.

Una settimana dopo ribadiva:

“Ora è necessario che non dimentichiate il consiglio evangelico: vigilate et orate! Non possiamo più tollerare la calunnia e l’insinuazione velenosa: su cento casi, cento hanno origine nella mia amatissima Spagna. Basta!”29.

Aveva deciso di non tacere su ciò che riguardava la Chiesa e l’Opera. In varie occasioni dovette prendere la penna, poiché giungevano a Roma, dalla Francia e dalla Spagna, gli schizzi di fango di campagne di stampa che travisavano la natura spirituale dell’Opus Dei, negandone anche la dimensione universale30. In questi casi esponeva al Papa la realtà oggettiva dei fatti, la falsità delle accuse e l’origine degli attacchi. Com’era logico, questi sgradevoli avvenimenti, anche se non gli toglievano la pace interiore, lo facevano soffrire. Visti dall’alto, erano un cumulo di bassezze, di meschinità, di piccinerie:

“Mi ha fatto pena leggere l’osceno e mordace anonimo che hanno inviato dalla Spagna. È inevitabile che il demonio non sia contento: quando va bene per gli agnelli non va bene per i lupi. L’ho bruciato. State tranquilli perché il vostro lavoro e quello dei vostri fratelli – l’Opus Dei – sale fino in Cielo come un profumo soave”31.

Come far fronte alle maldicenze dei nemici di Dio e della sua Chiesa? Il Fondatore pensò fosse utile concedere interviste a giornali di diverse nazioni. La prima fu concessa al corrispondente di Le Figaro e pubblicata nel maggio 196632. L’intenzione era semplice: dire la verità, ribadendo instancabilmente che nell’Opus Dei tutti agiscono con completa libertà personale, senza che la diversità nell’agire o nelle opinioni costituisca un problema, poiché “il pluralismo che esiste ed esisterà sempre fra i membri dell’Opus Dei è una manifestazione di buono spirito, di onestà di vita, di rispetto per le legittime opzioni di ciascuno”33.

Il Fondatore era veramente un romantico, che lottava per la libertà senza fare politica34. La politica è l’arte del governo, tanto varia nel metodo e nelle fonti che la ispirano, ma non bisogna dimenticare che è anche la porta di accesso al potere. Per mons. Escrivá il rispetto per libertà era la miglior garanzia di unità interna nell’Opera, mentre l’ambizione di potere avrebbe portato rapidamente alla disgregazione. Tale è la condizione dell’uomo: una perenne tentazione di imporre la propria volontà agli altri. Per queste ragioni, oltre che per quelle soprannaturali, il Fondatore affermava che “un Opus Dei impegnato in politica è un fantasma che non è mai esistito, non esiste e non potrà mai esistere: l’Opera, se accadesse questa impossibile eventualità, si dissolverebbe immediatamente”35.

Note

1. Lettera a Florencio Sánchez Bella, in EF-640229-2.

2. Cfr Vicente Mortes Alfonso, Sum. 7234.

3. Lettera ai suoi figli in Spagna, in EF-651002-1. Sulla sua santa tolleranza e comprensione, un teste del processo sulla vita e le virtù del Fondatore dell’Opus Dei racconta che una volta gli fece visita una persona che gli disse: “Padre, io sono ebreo”. Mons. Escrivá gli rispose: “E allora?”. “Sono anche massone”. “Ma sei anche figlio di Dio, no?”. E lo abbracciò. (Fernando Valenciano Polack, Sum. 7097).

4. Lettera 31-V-1954, n. 22.

5. Lettera 8-XII-1949, n. 61.

6. Lettera 30-IV-1946, n. 1.

7. Lettera 12-XII-1952, n. 37.

8. Lettera 9-I-1932, n. 46. Il Fondatore suggeriva che già nei catechismi per i bambini fossero enunciati i principi di dottrina sociale, “sui quali non si può cedere quando si opera nella vita pubblica; e che si affermasse, nello stesso tempo, il dovere di agire, di non astenersi, di prestare la propria collaborazione per servire con lealtà e con libertà personale, il bene comune” (ibidem, n. 45). Solco, n. 301 dà una risposta a quanti vorrebbero rinchiudere la religione nel privato delle coscienze: “Non è vero che vi sia opposizione tra l’essere buon cattolico e il servire fedelmente la società civile. Non c’è motivo di scontro tra la Chiesa e lo Stato, nel legittimo esercizio della loro rispettiva autorità, di fronte alla missione che Dio ha loro affidato. Mentono – proprio così, mentono – quelli che affermano il contrario. Sono gli stessi che, in ossequio a una falsa libertà, vorrebbero ‘amabilmente’ che noi cattolici tornassimo nelle catacombe”.

9. Lettera 9-I-1932, n. 50.

10. Lettera 9-I-1959, n. 51.

11. ibidem, n. 36.

12. Il Governo era stato cambiato già nel settembre 1942, nel luglio 1945 e nel luglio 1951.

13. Il governo del 1957 era così costituito: Sottosegretario alla Presidenza: Luis Carrero Blanco, militare, pienamente identificato con le idee di Franco; Affari Esteri: Fernando María de Castiella y Maiz, Democratico cristiano franchista; Interni: Camilo Alonso Vega, militare, franchista y monarchico; Giustizia: Antonio Iturmendi Bañales, tradizionalista carlista; Esercito: Antonio Barroso y Sánchez-Guerra, militare e monarchico; Avaizione: José Rodríguez y Díaz de Lecea, militare; Marina: Felipe José Abárzuza Oliva, militare; Finanze: Mariano Navarro Rubio, avvocato del Consiglio di Stato; Industria: Joaquín Planell Riera, militare e ingegnere industriale; Commercio: Alberto Ullastres Calvo, Docente di Economia; Opere Pubbliche: Jorge Vigón Suerodíaz, militare e monarchico legittimista; Agricoltura: Cirilo Cánovas García, Ingegnere Agronomo; Lavoro: Fermín Sanz-Orrio y Sanz, falangista; Edilizia Pubblica: José Luis Arrese y Magra, falangista; Educaizone: Jesús Rubio García-Mina, falangista; Informazione e Turismo: Gabriel Arias-Salgado y de Cubas, franchista; Segretario Generale del Movimiento: José Solís Ruiz, falangista; Ministro senza portafogli: Pedro Gual Villalbí, economista.

14. Cfr la Dichiarazione programmatica del Governo, sui quotidiani spagnoli del 28-II-1957.

15. Alberto Ullastres dichiarò, alcuni anni dopo: “Eravamo servitori dello Stato e avevano ragione di chiamarci così. Eravamo stati chiamati perché i politici non si intendevano di economia, allora scienza praticamente nuova in Spagna, e chiamarono noi tecnici; in particolare me, che mi consideravo e mi considero un tecnico. Ad alcuni politici la cosa risultò particolarmente fastidiosa”. (Citato da Laureano López Rodó, Memorias, tomo I, Madrid 1990, p. 91).

16. Alcuni ministri erano membri di associazioni di fedeli e non per questo le rappresentavano in governo.

17. Conviene ricordare che la Gerarchia della Chiesa in Spagna non si pronunciò mai contro la partecipazione dei cattolici alle istituzioni politiche del regime di Franco.

18. Julián Herranz, Sum. 3905.

19. Il Commissariato del Piano di Sviluppo fu creato il 26 gennaio 1962, su suggerimento della Banca Mondiale e dell’OCSE. Ne fu nominato commissario Laureano López Rodó. Il Commissario fu posto alle dipendenze della Presidenza del Governo, nonostante l’opposizione di Navarro Rubio, che desiderava farlo dipendere dal Ministero delle Finanze. Per questo motivo, Navarro Rubio rassegnò le dimissioni, che Franco respinse. Cfr la testimonianza di Mariano Navarro Rubio in Franco visto por sus ministros, Barcellona 1981, p. 90.

20. Per farsi un’idea dell’evoluzione della società spagnola e dei suoi problemi, è opportuno ricordare alcuni avvenimenti significativi del 1962: gravi problemi di lavoro e agitazioni sindacali, particolarmente acuti in Vizcaja, nelle Asturie e a Barcellona; una forte crisi nel sindacato unico universitario; il primo incontro dell’opposizione interna ed esterna, in occasione del Congresso del Movimento europeo tenutosi in giugno a Monaco di Baviera; la richiesta del governo spagnolo di entrare nel Mercato Comune; l’acutizzarsi del dissenso delle organizzazioni operaie cattoliche. Inoltre, Il Principe Juan Carlos di Borbone si sposò nel mese di maggio, rafforzando la scelta in suo favore da parte del Capo dello Stato. Ci fu poi l’apertura del Concilio Vaticano II, che tante ripercussioni avrebbe avuto anche in Spagna.

21. Nel 1962, uno dei cambiamenti più significativi nel governo fu la nomina di Manuel Fraga Iridarne a Ministro dell’Informazione e del Turismo. Fraga si era posto come obiettivo la promulgazione di una Legge sulla stampa che garantisse maggiore libertà d’informazione. Tra i nuovi ministri ci fu Gregorio López Bravo, ingegnere navale e membro soprannumerario dell’Opus Dei, che dal 1960 era Direttore Generale dell’Istituto Spagnolo per la moneta estera.

22. Comunicato della Segreteria Generale dell’Opus Dei, Roma, 17-VI-1962. Per capire l’origine degli erronei giudizi sull’Opera, occorre tener presente che, non essendovi a quel tempo in Spagna libertà di associazione politica e neppure i canali per l’espressione del pluralismo, talune manifestazioni religiose, culturali e sociali, che per loro natura sono estranee a tale ambito, potevano acquistare una valenza politica. D’altra parte, chi pensava a un coinvolgimento politico dell’Opus Dei non teneva presente che l’Opus Dei è per sua natura, e cominciava a esserlo anche di fatto, una realtà universale. Forse per questo furono generalizzate circostanze contingenti che riguardavano invece soltanto la Spagna.

23. Lettera 7-X-1950, n. 36. Vincente Mortes Alfonso, teste al processo di canonizzazione, era membro soprannumerario dell’Opus Dei. Dall’aprile 1957 ricoprì alti incarichi politici e dal 1969 fino al 1973 fu Ministro per l’Edilizia pubblica. Ecco la sua testimonianza: “In diverse occasioni gli esternai il mio dolore per l’incomprensione e le calunnie di determinate persone o gruppi politici della Spagna circa l’Opus Dei e la politica. Il Padre mi rispose sempre che dovevo mettere in pratica la carità, annegare il male nell’abbondanza del bene, ‘dare lepre per gatto’ e comprendere che non ci comprendessero. Tuttavia, mi diceva che avevo il dovere, per il buon nome della Chiesa e dell’Opera, di chiarire la verità con tutta la forza necessaria, cercando di non offendere le persone, bensì di segnalare gli errori, sempre in tono cordiale e disteso. Mi raccomandava sempre di ascoltare gli altri, di lasciar loro esprimere le proprie opinioni in piena libertà e, quando esponevo le mie, di partire dall’idea che non ci sono altri dogmi che quelli definiti dalla Chiesa e quindi che quasi tutto in politica è discutibile” (Sum. 7234).

24. Cfr Javier Echevarría, Sum. 2247.

25. César Ortiz-Echagüe Rubio, Sum. 6845. Cfr anche le interviste con Jacques Guillemé-Brûlon, del 16-V-1966, e con Tad Szulc, del 7-X-1966, in Colloqui, nn. 38 e 48.

26. Lettera ai suoi figli in Olanda, in EF-640320-2. Due mesi prima aveva scritto per rasserenarli: “Carissimi figli, Gesù mi protegga tutti voi sempre in laetitia! Spero, lo so, che accadranno tante cose belle nella stupenda terra dei tulipani. Mangiate, dormite, divertitevi, perché non c’è motivo per fare diversamente”. (Lettera, in EF-640519-1).

27. Lettera, in EF-640327-1.

28. Lettera ai suoi figli in Spagna, in EF-651002-1.

29. Lettera a Florencio Sanchez-Bella, in EF-651009-2. Sull’origine delle calunnie, il Fondatore dichiarava nel 1971: “L’origine è in Spagna e solo in Spagna, per la gelosia religiosa di alcuni, per la passione politica di pochi altri, molto pochi, e per la superficialità di quanti ripetono ciò che sentono, perché li diverte”. (ABC, Madrid, 24-III-1971, intervista di Julián Cortés Cavanillas).

30. Sulle falsità diffuse da Le Monde, cfr Lettere a mons. Angelo Dell’Acqua, in EF-641112-1; in EF-650919-1; in EF-650921-1; su quelle della rivista La Croix, articoli del 26 aprile 1966 e giorni successivi, cfr Lettera, in EF-660511-1; sulla campagna organizzata da Le Nouvel Observateur e Le Canard Enchaîné, cfr Lettera, in EF-660611-1.

31. Lettera a Richard Stork, consigliere dell’Opus Dei nel Regno Unito, in EF-661201-1.

32. Il corrispondente era Jacques Guillemé-Brûlon. Con questa e con altre interviste, rilasciate nel 1967 e nel 1968 su temi di attualità (situazione post-conciliare, organizzazioni religiose, apostolati dell’Opus Dei, ecc.) fu edito il libro Colloqui con mons. Escrivá. All’articolo di Le Figaro fu dato il titolo L’apostolato dell’Opus Dei nei cinque continenti (cfr nn. 34 e ss.).

33. ibidem, n. 38.

34. Cfr Lettera a Juan di Borbone, in EF-661121-1.

35. ABC (Madrid), 34-III-1966.