La fatica della santità

I santi (467) ed i beati (1290) elevati agli altari da Giovanni Paolo II non si possono vedere come una pioggia di particelle isolate. No: è la Chiesa universale che palpita in essi. In tutti vive e a tutti dà vita la realtà cattolica.

Mons. Flavio Capucci, postulatore della causa di canonizzazione di Josemaría Escrivá

Il fondatore era morto da meno di un anno. Il 5 marzo 1976 mons. Álvaro del Portillo, suo successore, fu ricevuto per la prima volta dal Papa. Nel corso di quell'udienza, Paolo VI gli raccomandò di cominciare a raccogliere in modo sistematico i suoi scritti ed i documenti che ne illuminavano la vita, perché — disse — «egli è ormai un tesoro che non appartiene più soltanto all'Opus Dei». E gli dette esplicito permesso di rendere pubbliche queste parole.

Mons. del Portillo fu, come sempre, molto discreto. A me le riferì il 2 febbraio 1978, quando, annunciandomi che era ormai tempo di cominciare a preparare la Causa di canonizzazione, mi chiese se ero disposto ad occuparmene. Non è un caso se oggi mi tornano alla mente, perché la canonizzazione ci dice anzitutto proprio quello che Paolo VI aveva anticipato quel giorno, e cioè che Josemaría Escrivá appartiene al tesoro della santità della Chiesa. Il suo messaggio è patrimonio della Chiesa tout court. In esso vibra la perenne novità del Vangelo, che parla a tutti i cristiani e a cui tutti possono attingere.

L'atto che il Papa si appresta a compiere questa mattina dinanzi al mondo aggiunge un altro anello ad un catena che non si interromperà mai, fino alla fine dei tempi: ogni epoca sarà segnata dalla testimonianza dei santi, figure che, nella loro varietà, confermano l'inesauribile ricchezza del mistero della Chiesa. Solo la prospettiva ecclesiologica fornisce la chiave per capire. Per capire, ad esempio, come i santi (467) ed i beati (1290) elevati agli altari da Giovanni Paolo II non si possano vedere come una pioggia di particelle isolate anche se numerose, una pluralità di individui scelti a rappresentare gruppi di fedeli, istituzioni ecclesiali, sensibilità o scelte spirituali particolari. No: è la Chiesa universale che palpita in essi. In tutti vive e a tutti dà vita la realtà catholica.

La sostanza della santità

Per me oggi si conclude un lavoro iniziatosi quasi 25 anni fa. La storia di ogni causa di canonizzazione può essere ricostruita attraverso dati numerici che aiutano a farsi un'idea del percorso seguito: durata dei processi (quasi 1.000 sessioni, nel nostro caso), numero dei testi de visu (un centinaio), assiduità dei loro rapporti con il protagonista (oltre i 20 anni nella maggioranza dei casi), consistenza delle prove documentali (390 archivi compulsati), densità della Positio (4 volumi di 6.000 pagine), estensione della devozione (oltre 120.000 testimonianze di favori, in quasi 90 paesi), frequenza dei miracoli registrati (48 completamente documentati, finora), ecc. Ma questo non mi sembra il momento per una ricognizione tecnica della causa del fondatore dell'Opus Dei. E, del resto, soltanto gli addetti ai lavori potrebbero cogliere tutto il peso di quelle cifre. Al di là di esse, una causa è lo studio analitico, giuridicamente e criticamente fondato, che deve rispondere alla domanda: esistono prove valide, tali da smontare ogni dubbio circa la santità di un certo Servo di Dio? La certezza che ne proviene è sufficientemente solida da consentire all'autorità competente di proporre senza riserve al Papa di proclamarlo santo? La decisione finale è solo del Papa; le procedure che la preparano costituiscono, nel loro insieme, la causa di canonizzazione.

Tutte le cause ci pongono di fronte a quello che potremmo definire come il paradosso della santità. A maggior ragione quella di Josemaría Escrivá che, fin dalla fine degli anni Venti, predicò con forza la vocazione universale alla santità. Il nucleo del suo messaggio e della sua azione pastorale sta proprio in questa convinzione, e nel suo corollario immediato, vale a dire nell'indicazione della vita ordinaria (il lavoro, la famiglia, i rapporti sociali) come ambito e materia di santità. Se la santità è per tutti e non solo per pochi individui speciali, ne deriva che non consiste nel compiere gesta straordinarie; basta svolgere con amore straordinario i piccoli doveri ordinari... Come egli stesso ebbe a scrivere: Vuoi davvero essere santo? — Compi il piccolo dovere d'ogni momento: fa' quello che devi e sta' in quello che fai (Cammino, n. 815). La santità "grande" consiste nel compiere i "doveri piccoli" di ogni istante (n. 817). Qual è il paradosso?

Sta nel mantenere questa verità, proclamata solennemente anche dal Concilio e confermata nella realtà dal numero, prima citato, delle beatificazioni e delle canonizzazioni effettuate da Giovanni Paolo II. Nel mantenerla, dicevo, e insieme nel non banalizzarne il contenuto. La Congregazione delle Cause dei Santi richiede la dimostrazione dell'eroicità delle virtù quale condizione indispensabile per procedere prima alla beatificazione e poi alla canonizzazione: una condizione estremamente difficile da soddisfare. Si deve dunque ammettere che l'eroismo è per tutti; ma, se le parole hanno un senso, resta un traguardo al di sopra del comune: un punto d'arrivo non da tutti. Insomma, la santità si raggiunge a prezzo di sforzi non indifferenti. Quei 467 santi e quei 1290 beati ci dicono che tutti possiamo arrivare alla pienezza della vita cristiana, ma anche che essa non è automatica, occorre volerla con quella determinata determinazione di cui parla Santa Teresa. Nelle loro cause si tocca con mano la fatica della santità. Questa è l'impressione prevalente che ho ricavato dallo studio della traiettoria esistenziale del fondatore dell'Opus Dei, il santo della vita di tutti i giorni: un percorso estremamente arduo, tutto in salita, con la pendenza che si impennava sempre di più man mano che si avvicinava alla meta. Per diffondere il messaggio affidatogli dal Signore, egli pagò un prezzo altissimo.

Santità e lotta

Insomma, sarebbe un errore descrivere la vita spirituale prescindendo dai concetti essenziali nella tradizione della spiritualità, quali la conversione, la contrizione, la penitenza, la mortificazione, ecc. sia pure nell'intento di renderla comprensibile ai non credenti o a chi non ha dimestichezza con le sue leggi. Per anni ho dovuto rispondere alle obiezioni di chi si scandalizzava del fatto che il fondatore dell'Opus Dei raccomandasse la pratica della mortificazione, quasi si trattasse di un retaggio medievale fortunatamente abbandonato dalla sensibilità contemporanea. Ma la Croce non può venir rimossa dall'orizzonte del cristiano. Così, l'amore per il mondo è un amore redentore, che passa attraverso il sacrificio. Santità è sinonimo di lotta ascetica: La santità consiste nella lotta, nel sapere che abbiamo difetti e nel cercare eroicamente di evitarli. La santità — insisto — consiste nel superare questi difetti..., però arriveremo alla morte con difetti: altrimenti saremmo dei superbi (Forgia, n. 312). La conclusione di questo passo mi sembra illuminante ed in linea con l'esperienza comune: saremo sempre alle prese con i nostri limiti; dunque, non ci resta che accettare di dover combattere per tutta la vita sugli stessi fronti; perciò, anziché confidare nelle nostre forze (cadendo nell'illusione pelagiana), dovremo fare assegnamento anzitutto sull'aiuto della grazia: "La santità si raggiunge con l'ausilio dello Spirito Santo — che viene a inabitare nelle nostre anime —, mediante la grazia che ci è concessa nei Sacramenti, e con una lotta ascetica costante. Figlio mio, non facciamoci illusioni: tu e io — non mi stancherò di ripeterlo — dovremo lottare sempre, sempre, sino alla fine della nostra vita (n. 429). Ecco il punto, la fatica della santità cui il cristiano non può sottrarsi. È anche vero però che questa fatica, questa lotta d'amore porta con sé la gioia, perché avere la Croce, è avere la gioia: è avere Te, Signore!" (n. 766).

Dal punto di vista esistenziale, nel concetto di santità convergono diverse nozioni basilari dell'antropologia cristiana, quali quelle di conversione continua, del tempo come sequenza di chiamate da parte di Dio e di risposte dell'uomo, della vita come prova o, nel linguaggio di Josemaría Escrivá, come un continuo cominciare e ricominciare (cfr. Cammino, n. 292). In questa prospettiva, appare perfettamente giustificata l'identità di santità ed eroismo, presupposta dalla metodologia della Congregazione delle Cause dei Santi. Eroismo è appunto costanza senza flessioni. La ricerca della santità esige da noi che rispondiamo sempre di sì agli appelli di Dio racchiusi anche nelle vicende meno appariscenti della giornata. Nella gradualità quasi infinita delle possibili risposte, sarebbe privo di senso, teorico, astratto, pretendere che il santo debba sempre dare la più difficile. Ma non si può dimenticare che egli risponde ogni volta al meglio delle proprie capacità. Come, per emettere la nota giusta, un corda di chitarra deve essere tesa al limite, così la vocazione cristiana (che è chimata alla santità: ma quando lo capiremo, che santità è sinonimo di salvezza?) ci richiede di non permetterci soste, di non agire al risparmio, di non seguire la legge del minimo sforzo.

Cercare Dio

Per diventare santo non occorre essere né un superuomo né un genio. Ma è indispensabile la coerenza, vale a dire una volontà interamente orientata verso Dio: senza fissure, senza riserve. Occorre detestare il peccato con tutte le forze. Il peggior nemico della santità sono le omissioni, l'insidia da rifuggire sta nella tiepidezza. Questo ci fa capire quanto sia importante possedere qualità umane integre se si vuole raggiungere la meta della santità. Essa è incompatibile con la mediocrità. Non è questione di muscoli, bensì d'amore, ma senza un carattere forte, deciso, pronto a risollevarsi, la santità si riduce a una chimera addirittura impensabile. Vale la pena meditare le seguenti considerazioni di Josemaría Escrivá: "Abìtuati a dire di no" (Cammino, n. 5). "Non essere così fiacco, molle. — È ormai ora di respingere quella strana compassione che senti di te stesso" (n. 193).

Pronto a risollevarsi, dicevo. L'accenno non è casuale. La santità è compatibile con tutti gli errori e le imperfezioni in cui chiunque di noi può incorrere. Considerando la realtà da questo angolo visuale, il pericolo più minaccioso è lo scoraggiamento: Non dimenticate che santo non è chi non cade, ma chi si rialza sempre, con umiltà, con santa ostinazione (Amici di Dio, n. 131). Le cadute non devono avvilirci, ancorché fossero gravi, purché ci rivolgiamo a Dio nel sacramento della Penitenza con dolore sincero e proposito retto. Il cristiano non è un collezionista fanatico di certificati di servizio senza macchia. Gesù nostro Signore, che tanto si commuove dinanzi all'innocenza e alla fedeltà di Giovanni, si intenerisce allo stesso modo, dopo la caduta di Pietro, per il suo pentimento (È Gesù che passa, n. 75). Quando sbaglia, il santo torna contrito alla lotta. Confida nell'infinita capacità di perdono di Dio, ma non ne abusa. Il timore filiale lo aiuta a concentrare tutte le energie nel cercare di piacere a Dio.

Stiamo parlando della santità come dialogo vitale con Dio, in cui le nostre risposte si susseguono alle continue chiamate del Signore. Ci troviamo in piena sintonia con la tradizione che definisce la santità come sforzo per compiere la volontà di Dio nel miglior modo possibile. In questo senso mi ha sempre colpito molto un punto di Cammino che recita: Gradini: Rassegnarsi alla Volontà di Dio: Adattarsi alla Volontà di Dio: Volere la Volontà di Dio: Amare la Volontà di Dio (n. 774). Una traiettoria di progressiva perfezione che Josemaría Escrivá percorse fino in fondo, tanto che personalmente considero il pieno abbandono alla volontà di Dio come l'espressione che meglio descrive il vertice da lui raggiunto nell'adempimento della missione ricevuta: non passiva rassegnazione, non adattamento, ma amore sincero per ciò che il Signore vuole. Gesù, quello che tu "vuoi"... io lo amo (Cammino, n. 773).

Quest'abbandono costituisce, a mio avviso, il punto più alto dell'eroismo e lo si riscontra nella vita dei santi cui il Signore ha affidato una missione di particolare rilievo ecclesiale. La strategia seguita da Dio con il fondatore dell'Opus Dei fu particolarmente dura, segnata dalla presenza di una Croce che, col passare del tempo, si fece sempre più pesante.

Una certa letteratura agiografica tende ad ingigantire le figure dei santi. Malgrado il richiamo degli ostacoli che costellano il cammino della santità, qui non si è affatto inteso seguire tale tendenza. Il santo non è inimitabile. Allontanarlo dalla terra equivale a negarne l'esemplarità. La santità è fatica, ma rimane pur sempre alla portata di tutti. Il paradosso va mantenuto in entrambi i suoi poli. Sono i meriti infiniti di Cristo, applicati a noi nei sacramenti, a darci la certezza del traguardo. È l'intercessione della Madonna — onnipotenza supplice — a sostenere la nostra speranza. Così come l'aiuto che, in Ecclesia, ci viene dai santi: essi, che in vita hanno combattuto strenuamente per noi, non ci possono lasciare soli. Josemaría Escrivá ci aiuterà dal Cielo ad affrontare con gioia la nostra fatica della santità nel quotidiano.

Supplemento de L’Osservatore Romano, 6 ottobre 2002