Intervista a Linda Corbi, coordinatrice di Harambee, un progetto per l’Africa

Harambee è un progetto di comunicazione, solidarietà e sviluppo per l’Africa presente in 14 Paesi del continente nero. Corbi ricorda che la donna in Africa non ha solo “doveri” ma anche “diritti”.

“La donna è centrale nella cultura Africana”

ROMA, mercoledì, 18 aprile 2007 (ZENIT.org).- Non è paternalismo, l’aiuto in Africa. Lo sostiene Linda Corbi, coordinatrice di Harambee (www.harambee2002.org), un progetto di comunicazione, solidarietà e sviluppo per l’Africa presente in 14 Paesi del continente nero. Corbi ricorda che la donna in Africa non ha solo “doveri” ma anche “diritti”.

Parliamo sempre di "progetti" per l'Africa: non ha un qualcosa di paternalista, questa visione?

Harambee desidera aiutare gli Africani sostenendoli nelle loro iniziative nel pieno rispetto della loro cultura, esaltandone le qualità umane e valorizzando le risorse naturali di questo bellissimo continente. In questa prospettiva non trovano spazio atteggiamenti paternalistici.

Lei viaggia spesso in terre africane: quale è la sua visione sul ruolo effettivo della donna nella promozione sociale, umana e culturale di questo continente?

La donna è centrale nella cultura africana. E’ lei che lavora, e lei che si occupa dei figli e lei che partecipa attivamente ai fabbisogni della comunità.

I nostri progetti si rivolgono prevalentemente a lei, che nel ruolo di madre garantisce il futuro dell’Africa. Mai come in Africa la donna vive dei suoi “doveri”, pesanti, pesantissimi ma che sono alla base di un ordine sociale che presto o tardi dovrà confrontarsi con un mondo diverso.

Mi piacerebbe che allora la donna non fosse impreparata e che accanto ai “doveri” le fossero altrettanto chiari i diritti: diritto alla salute; diritto di decidere del proprio futuro; diritto di sognare per i figli un futuro migliore; diritto all’istruzione; diritto di essere donna senza per questo rinunciare alla propria identità, femminilità e dignità.

Lei si sente una "missionaria" o una donna d'affari, nel ruolo di coordinatrice

internazionale di un progetto per l'Africa come Harambee?

Non sono missionaria e non sono una donna d'affari per cui non mi sento né l’una né l’altra, ma una persona che ama l’Africa e che cerca di aiutare per quel che può.

I bisogni sono sicuramente superiori alle nostre forse, ma quello che cerchiamo di fare con Harambee è dar vita a tante iniziative che rappresentino solo l’inizio di un processo di sviluppo ben più ampio, un effetto a catena che trova un terreno fertile nella realtà africana. Personalmente mi sento fortunata di poter lavorare professionalmente per un continente dal quale ricevo tanto in umanità.

Gli africani si lamentano dell'indifferenza dell'Occidente, come se ci ricordassimo

dell'Africa soltanto quando avvengono delle disgrazie. Lei è d'accordo con questa visione?

Quello che muove l’Occidente effettivamente è stimolato dai sentimenti o dalle proprie necessità materiali: non possiamo ignorare la ricchezza naturale dell’Africa ad iniziare dal petrolio.

Accanto però bisogna ricordare le tante persone e le organizzazioni umanitarie che mosse da sentimenti di giustizia sociale pongono l’uomo africano al centro del proprio interesse ed attività. Realizzano così un vasto lavoro silenzioso, costante, efficace che procede, malgrado le difficoltà, il più delle volte in modo nascosto, senza riconoscimenti ufficiali e per questo non fanno notizia.