Il materialismo cristiano di san Josemaria

In una notevole omelia pronunciata nel 1967 e pubblicata con il titolo "Amare il mondo appassionatamente", Mons. Escrivá utilizza l'espressione "materialismo cristiano". Mi sembra che riassuma felicemente il suo messaggio.

In una notevole omelia pronunciata nel 1967 e pubblicata con il titolo Amare il mondo appassionatamente, Mons. Escrivá utilizza l'espressione "materialismo cristiano". Mi sembra che riassuma felicemente il suo messaggio. In particolare vi si può leggere: "Il senso cristiano autentico — che professa la risurrezione della carne — si è sempre opposto, come è logico, alla disincarnazione, senza tema di essere tacciato di materialismo. È consentito, pertanto, parlare di un materialismo cristiano, che si oppone audacemente ai materialismi chiusi allo spirito.

Che cosa sono i sacramenti — orme dell'Incarnazione del Verbo, come dissero gli antichi — se non la manifestazione più evidente di questa strada che Dio ha scelto per santificarci e condurci al Cielo? (...)".

Ma in che senso coniugare la vita spirituale e l'impegno nel mondo? Dai suoi scritti risulta che Mons. Escrivá esclude qualsiasi alternanza o schizofrenica giustapposizione, ovvero una doppia vita fatta, da una parte, delle mille realtà e occupazioni quotidiane da cui Dio sarebbe assente, dall'altra, da parentesi sacre vissute come momenti di evasione. Egli, però, respinge anche ogni specie di confusione tra la vita spirituale e la presenza al mondo, sia che avvenga per via di riduzione (la tentazione dello spiritualismo esagerato, che limiterebbe la santificazione cristiana alla vita interiore e alla salvezza dell'anima, senza prendere sul serio gli impegni secolari in se stessi considerati) o per via di assorbimento (la tentazione del secolarismo, che tenderebbe a includere il riferimento a Cristo o ai "valori cristiani" in un orizzonte esclusivamente umano).

Ciò che invece colpisce in Mons. Escrivá è la disinvoltura con cui passa dal divino all'umano e dall'umano al divino, dando la sensazione di una pacifica continuità e non di uno iato tormentato tra l'uno e l'altro, a mille leghe da ciò che definirei volentieri, parafrasando Hegel, "la vita cristiana vissuta come coscienza infelice, ovvero come cattiva coscienza".

Il materialismo cristiano di san Josemaría coniuga felicemente una reciproca promozione dei due aspetti: la vita spirituale richiede l'impegno secolare e quest'ultimo richiede l'approfondimento della sua vita spirituale. Come egli amava dire, "per essere molto divini bisogna essere anche molto umani".

A ragione, Mons. Escrivá rapporta a Cristo l'unione del divino e dell'umano. Sin dai primi secoli della Chiesa, la fede cattolica ha cercato di pensare l'unità di Dio e dell'uomo in Cristo, confutando molteplici eresie. L'unità di Cristo non può consistere né in una giustapposizione o separazione (nestorianesimo), né in una confusione, vuoi mediante la riduzione dell'umanità di Cristo alla sua divinità (docetismo e monofisismo), vuoi mediante la riduzione della divinità all'umanità (adozionismo e arianesimo). Ritroviamo qui le categorie sopra richiamate a proposito del messaggio di Mons. Escrivá.

L'unità del divino e dell'umano in Cristo, tuttavia, non può nemmeno essere pensata come una pura tensione tra i due; la cristologia cattolica implica piuttosto la reciproca promozione dell'umano e del divino, nella logica del concilio di Calcedonia, secondo il quale, lungi dall'essere separate l'una dall'altra, di confondersi o di opporsi, la natura umana e la natura divina di Gesù sono salvaguardate nelle rispettive proprietà.

Mi sembra che il materialismo cristiano di Mons. Escrivá, attento a coniugare positivamente, senza separazione e senza confusione, la più alta spiritualità e l'impegno secolare più quotidiano, poggi su solide basi, cioè su fondamenti cristologici che garantiscono frutti durevoli.

Supplemento de L’Osservatore Romano, 6 ottobre 2002