Il dono della libertà

San Josemaría fonda sulla capacità umana di decidere liberamente la manifestazione più evidente di una dignità che rende capaci di rispondere volontariamente alle richieste divine. Su questa solida base antropologica, egli riconosce la realtà di una liberazione incomparabilmente più radicale di quella sognata dalle utopie ideologiche.

Il pensiero razionalista ha dei paradossi strutturali come il paradosso della libertà. Da un lato, infatti, difende giustamente la libertà, dall’altro molti pensatori eredi del razionalismo finiscono per negare che l’uomo sia realmente libero. In questo clima culturale, spicca la forte personalità di san Josemaría che - senza badare ai timori contrapposti di coloro che diffidano di una libertà apertamente proclamata - fonda sulla capacità umana di decidere liberamente la manifestazione più evidente di una dignità che rende capaci di rispondere volontariamente alle richieste divine, che rende possibile un dialogo fiducioso con Dio e con gli uomini, senza fare discriminazioni di razza e di cultura. Su questa solida base antropologica, egli riconosce la realtà di una liberazione incomparabilmente più radicale di quella sognata dalle utopie ideologiche, poiché essa rappresenta la libertà con cui Cristo ci ha liberati (1): la liberazione guadagnata da Cristo sulla Croce.

Si potrebbe insinuare che questa affermazione di libertà sia incompatibile con l’impegno che anche i comuni cristiani hanno di donarsi a Dio. Tuttavia san Josemaría non solo evitò di cadere in questa falsa dialettica, ma formulò una proposta audace secondo la quale è proprio la libertà personale a rendere possibile l’impegno: «Niente di più falso» affermava, «che opporre la libertà al dono di sé poiché tale dono è conseguenza della libertà» (2). Emerge qui un punto cruciale del suo pensiero, che lo pone al di là delle teorie moderne sulla libertà originate dal non aver saputo scorgere questa precisa relazione. San Josemaría non ha nessun timore della retta autonomia del comportamento umano; colloca anzi la capacità di autodeterminazione alla radice stessa della suprema dimostrazione di libertà, con la quale, liberandosi dai vincoli dell’egoismo, una persona si mette con fiducia nelle mani di suo Padre Dio. Il dono della libertà che il Signore concede nella creazione e che si restaura e rafforza nella redenzione, diventa a sua volta dono che la creatura offre al suo Creatore e Redentore come offerta di un figlio al proprio Padre, accettabile proprio a motivo del suo carattere libero. San Josemaría giunse a una conclusione audacemente paradossale ma ricca di profondo realismo: la ragione soprannaturale della nostra scelta è servire perché ne ho voglia. Cornelio Fabro ha sottolineato come questa posizione sia innovativa rispetto al pensiero moderno e alla riflessione tradizionale: «Uomo nuovo per i tempi nuovi della Chiesa del futuro, Josemaría Escrivá de Balaguer ha afferrato, per una sorta di connaturalezza - e anche, senza dubbio, per una luce soprannaturale - la nozione originale della libertà cristiana. Immerso nell’annuncio evangelico della libertà intesa come liberazione dalla schiavitù del peccato, ha fiducia nel credente in Cristo e, dopo secoli di spiritualità cristiane basate nella priorità dell’obbedienza, inverte la situazione e fa dell’obbedienza un atteggiamento e una conseguenza della libertà, come un frutto del suo fiore o, più profondamente, della sua radice (3).

La supremazia della scelta è alla base della grandezza e rilevanza dell’esistenza ordinaria, che costituisce uno dei tratti più tipici del messaggio dell’Opus Dei. Le decisioni che ognuno prende quotidianamente - nelle occupazioni più comuni e anche in quelle straordinarie - trascendono di gran lunga gli effetti concreti, sia da un punto di vista umano sia da un punto di vista soprannaturale. Attraverso questa trama si gioca la splendida partita della santità personale e dell’efficacia apostolica. Sono le vicissitudini che a volte consideriamo irrilevanti, e non lo sono; quelle in cui si alternano l’allegria e il dolore, i successi apparenti e gli altrettanto apparenti insuccessi; è quando un figlio di Dio risolve le situazioni con rettitudine soprannaturale e perfezione umana; è allora che si sta contribuendo al bene dei nostri simili e alla nuova evangelizzazione alla quale ci spinge il Santo Padre Giovanni Paolo II. La fede non è un tema da discutere e neppure solo da proclamare e confessare: è una virtù che il cristiano deve esercitare ogni giorno nel compiere i suoi doveri ordinari. I fedeli comuni saranno così - con un’immagine che il Fondatore dell’Opus Dei amava ripetere - «come un’iniezione endovenosa nel torrente circolatorio della società». Saranno la «consolazione di Dio» e, in un mondo stanco, porteranno ragioni alla speranza.

La vera libertà è linfa per lo sviluppo di tutto il tessuto civile, che si screpola inaridito quando manca la libertà. Avviene quindi, quando si sopprime la libertà, che la società intera si anchilosa e l’autorità, che dovrebbe facilitarne l’esercizio e la diffusione, è invece tentata di autoritarismo. Chiari e forti sono a questo proposito le parole di Solco: «Se l’autorità diventa autoritarismo dittatoriale e questa situazione si prolunga nel tempo, si perde la continuità storica, muoiono e invecchiano gli uomini di governo, giungono all’età matura persone senza esperienza per dirigere, e la gioventù - inesperta e agitata - vuole prendere le redini: quanti mali! e quante offese a Dio - proprie e altrui - ricadono su chi usa così male l’autorità» (4).

Si può ben dire che le diverse forme di autoritarismo, sfociate nei terribili esempi del Ventesimo secolo, provengono a volte, soprattutto, dalla irresponsabilità civile. Se non si è disposti a prendere a cuore i propri doveri civili, a partecipare attivamente in alcuni settori della vita politica, secondo le personali possibilità, difficilmente si può giustificare la successiva protesta contro il mancato rispetto dei diritti o delle opinioni personali. San Josemaría dava grande importanza all’obbligo che hanno i cattolici di essere presenti - ognuno secondo le proprie convinzioni - negli àmbiti di naturale aggregazione sociale, dove si forma l’opinione pubblica. Con ciò non si riferiva solamente, né forse principalmente, all’attività politica, ma alla grande varietà di associazioni e comunità che costituiscono il tessuto sociale, da una associazione sportiva fino agli organismi internazionali. Con la propria partecipazione attiva e libera in questi ambiti, il cristiano difende la dignità dell’uomo, persona e figlio di Dio; la vita umana, dal suo inizio fino al suo declino naturale; la giustizia, i diritti dei singoli e delle famiglie; le grandi cause dell’umanità...

Una delle conseguenze tangibili della libertà è il pluralismo. L’autentico pluralismo non può esser basato sul relativismo, perché altrimenti le convinzioni diverrebbero semplici convenzioni con il pericolo di giungere a non rispettare la diversità: e così atteggiamenti che si considerano di minoranza (anche se spesso non lo sono) vengono posti in secondo piano da chi ha il controllo dell’opinione pubblica, dal potere economico o dalla burocrazia ufficiale. E questo riguarda oggi specialmente la ricerca scientifica, con particolare attenzione ai problemi biotecnologici. Le chiare connotazioni etiche che posseggono alcune delle indagini in corso devono spingere gli scienziati di buona volontà, in primo luogo i cristiani, a prendere delle posizioni decise in difesa della vita umana. Infatti, come affermava san Josemaría in un discorso accademico del 1974, «la necessaria obiettività scientifica respinge giustamente qualsiasi neutralità ideologica, qualsiasi ambiguità, qualsiasi conformismo, qualsiasi codardía: l’amore per la verità impegna la vita e l’intero lavoro dello scienziato e sostiene il suo atteggiamento onesto innanzi a possibili situazioni scomode, dato che a questo atteggiamento responsabile non corrisponde sempre un’immagine favorevole nell’opinione pubblica» (5). Con queste precisazioni si riafferma il carattere positivo del pluralismo in una società libera.

San Josemaría si preoccupò di chiarire che i fedeli dell’Opus Dei possono difendere, e di fatto difendono, posizioni diverse e anche opposte in tutto ciò che è opinabile, nella vita sociale di ogni Paese. Esprimeva questa sua convinzione decisamente, sottolineandone la portata positiva e universale: «Come conseguenza del fine esclusivamente divino dell’Opera, il suo spirito è uno spirito di libertà, di amore per la libertà personale di tutti gli uomini. E siccome questo amore per la libertà è sincero e non è solo un enunciato teorico, noi amiamo anche la conseguenza necessaria della libertà: cioè il pluralismo. Nell’Opus Dei, il pluralismo è voluto e amato, non semplicemente tollerato e meno che mai osteggiato» (6). La libertà risulta essenziale per la vita del cristiano. Solo così, godendo di questa capacità di scegliere - inseparabile dalla dignità degli uomini e delle donne creati a immagine e somiglianza di Dio -, si può capire fino in fondo il programma centrale di san Josemaría: vivere santamente la vita ordinaria.

La grandezza della vita ordinaria

Chi si affaccia alla vita di san Josemaría Escrivá nota come il suo messaggio tenda a sottolineare, in maniera originale e forte, la possibilità che i cristiani hanno di raggiungere la pienezza della vita cristiana in mezzo al mondo, proprio attraverso le circostanze ordinarie e le occupazioni quotidiane. La sua predicazione ha aperto a innumerevoli persone, e non solo a migliaia di fedeli che fanno parte della Prelatura dell’Opus Dei, ampi e diversi cammini per incontrare nostro Padre Dio nelle situazioni più comuni. La santità non è considerata come qualcosa di riservato a coloro che sono stati scelti da Dio per svolgere il ministero sacerdotale, né solo per servirlo nella vita consacrata, vocazioni peraltro sempre necessarie che meritano gratitudine da parte di tutti.

La santità è un’esigenza per tutti i figli di Dio. In buona parte grazie all’amplissima mobilitazione apostolica sollecitata e portata avanti da san Josemaría, questa dottrina della grandezza della vita ordinaria è giunta a milioni di persone del mondo intero. Tuttavia quando questo dinamismo incominciò a manifestarsi, circa 75 anni fa, la sua realizzazione risultava nuova e piuttosto insolita per molti cattolici. Nel Decreto pontificio sulle virtù eroiche, si esprime questa realtà nei seguenti termini: «Già dalla fine degli anni Venti, Josemaría Escrivá, autentico pioniere di una solida unità di vita cristiana, avvertì la necessità di portare la ricchezza della vita contemplativa per tutti i cammini della terra, e spinse i fedeli a partecipare attivamente all’azione apostolica della Chiesa, rimanendo ognuno al suo posto, nelle proprie condizioni di vita» (7). Grande fu la gioia del Fondatore dell’Opus Dei quando il Concilio Vaticano II insegnò questa dottrina sul valore del carattere secolare, che definisce lo stato proprio e peculiare dei laici. L’orizzonte culturale degli anni Venti e Trenta, non incoraggiava il giovane sacerdote Josemaría Escrivá a lanciare la sua proposta sulla necessità di restituire alle circostanze di ogni giorno il loro nobile e originario significato. Nemmeno in ambiente propriamente cattolico egli incontrava un solido punto di appoggio per sviluppare il paradigma dell’unità tra la vita ordinaria e il vivere un cristianesimo assunto seriamente. La diagnosi del Concilio Vaticano II riconosce precisamente questa drastica frattura: «La separazione tra la fede che professano e la vita quotidiana di molti deve essere considerata come uno degli errori più gravi del nostro tempo» (8). Da parte sua, Paolo VI giunse a definire la rottura tra il Vangelo e la cultura, il dramma della nostra epoca (9). Sono queste due dimensioni disgiunte, il soprannaturale e l’umano, ciò che san Josemaría si impegnò a conciliare senza confonderle.

Un panorama così attraente fu descritto con vigore dal Santo Padre Giovanni Paolo II nell’omelia pronunciata durante la cerimonia di beatificazione del Fondatore dell’Opus Dei. «Con soprannaturale intuizione san Josemaría predicò instancabilmente la chiamata universale alla santità e all’apostolato. Cristo chiama tutti a santificarsi nella realtà della vita quotidiana; per questo il lavoro è anche mezzo di santificazione personale e di apostolato quando si vive in unione con Gesù Cristo, dato che il Figlio di Dio, nell’incarnarsi, si è unito in un certo modo a tutta la realtà dell’uomo e a tutta la creazione (cfr Dominum et vivificantem, 50). In una società nella quale la sete sfrenata di possedere le cose materiali le converte in idolo ed è causa di allontanamento da Dio, il nuovo santo ci ricorda che queste stesse realtà, creature di Dio e dell’ingegno umano, se si usano rettamente per la Gloria del Creatore e al servizio dei fratelli, possono essere cammino per l’incontro degli uomini con Cristo. “Tutte le cose della terra - insegnava - anche le attività terrene e temporali degli uomini, devono essere portate a Dio” (Lettera 19-III-1954)» (10). Di conseguenza, il programma di «santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare con il lavoro» implica una profonda novità nel concetto e nella realtà del lavoro umano, rispetto al modo in cui è stato concepito da buona parte della cultura contemporanea. Poco significato avrebbe tale impresa se il lavoro fosse esclusivamente una realtà economica, al servizio del proprio arricchimento, attraverso l’utilizzazione di materie prime o lo scambio di prodotti con la mediazione di strumenti finanziari. Questa riduzione immeschinita dell’economia sarebbe una mera manifestazione di materialismo pratico, presente anche nelle ideologie che enfatizzano la libertà in modo parziale e distorto. Infatti la ricerca di un profitto egoista come strada per determinare - grazie all’azione di una «mano invisibile» - il benessere di tutti, non corrisponde al senso ultimo della condizione umana. Non si può prescindere dalla nozione classica - ribadita oggigiorno dalla dottrina sociale della Chiesa - secondo cui il bene comune non coincide con la mera somma di interessi particolari. Se manca la solidarietà, il vero servizio al prossimo, si priva il lavoro della dignità umana, così come si sminuisce il valore delle occupazioni quotidiane se la funzione di coloro che le realizzano si equipara a quella di meri strumenti materiali, sostituibili più vantaggiosamente dalle macchine.

Il profondo valore della vita quotidiana implica la cura amorosa dei minimi particolari, di queste cose piccole che a volte vengono omesse senza avvertirne la loro portata di eternità. Rimanendo al proprio posto, il cristiano santifica il mondo dal di dentro, contribuisce a superare il disordine del peccato, svolge un lavoro apostolico immediato con parenti, amici, vicini e compagni di lavoro. La sua orazione tradotta in opere si rivela come un tesoro nascosto, una grande forza spirituale capace di sostenere i fratelli che lavorano nei diversi campi delle complesse realtà umane. Una caratteristica di spicco del Fondatore dell’Opus Dei fu il suo amore per l’ordine, virtù che s’impegnò a praticare con eroica perseveranza fino alla fine dei suoi giorni: il suo terminare con cura e puntualità sia il lavoro, come il riposo, aprì nella sua anima la convinzione che per realizzare le grandi imprese non si richiedono ordinariamente intelligenze eccelse: sono sufficienti l’impegno per coronare con perfezione le diverse esigenze umane e soprannaturali, e lo sforzo per mettere a frutto tutti talenti che il Creatore concede a ogni persona. Per questo motivo e per molti altri, niente distingue esteriormente i comuni fedeli cristiani dai propri simili, con i quali convivono gomito a gomito nella città degli uomini. Non certo perché nascondono la loro unione con Dio; al contrario, la rendono evidente, senza timidezze né ostentazioni, a quanti li circondano, cercando di avvicinarli alle meraviglie della grazia divina. Non si comportano come gli altri: sono radicalmente uguali agli altri, senza mentalità da eletti, condividendo con tutti le speranze e le inquietudini che la vita su questa terra comporta. In questo modo la mentalità laicale si fonde armonicamente con l’anima sacerdotale, con la coscienza pratica del sacerdozio regale dei fedeli (11), con la missione profetica di annunciare il regno di Cristo in ogni situazione e circostanza. San Josemaría, che si dedicò intensamente alla sua vocazione ministeriale e che desiderò sempre comportarsi come sacerdote di Gesù Cristo, amava ed esercitava la mentalità laicale che lo portava a rispettare con cura le leggi civili e a non cercare per sé alcun vantaggio materiale, seppur minimo, derivante dalla sua condizione di sacerdote. Non voleva privilegi, e sollecitava noi tutti con il suo esempio e la sua parola, a rimanere uniti alla Croce, sapendola scoprire non in situazioni immaginarie ma nelle vicissitudini giornaliere e nel servizio effettivo agli altri: «Quanti di coloro che si lascerebbero inchiodare a una croce, davanti allo sguardo attonito di migliaia di spettatori non sanno soffrire cristianamente le punzecchiature di ogni giorno! Pensa allora che cosa è più eroico!» (12).

La sua unità di vita lo portava a essere umano e soprannaturale. «Dobbiamo essere molto umani» insisteva, «perché altrimenti non potremmo essere divini» (13). Non mi stanco di ripetere di nuovo che fu una persona forte, vigorosa, comprensiva e ottimista, che visse eroicamente la carità. Si comportava sempre in modo responsabile, generoso, ricco di zelo per le anime, santamente intransigente per quanto riguarda il deposito della fede e santamente transigente nei confronti delle persone: lavoratore instancabile, sincero, leale e buon amico; dimostrò con tutti, senza distinzione di alcun tipo, uno spirito di servizio completo, coraggioso e carico d’affetto. A queste qualità si aggiungono quelle proprie di un buon sacerdote: amante dell’Eucaristia, capace di vivere con una delicatezza straordinaria la liturgia; devoto, colto, sapiente, identificato col suo ministero, grande predicatore e direttore di anime; studioso, mortificato, distaccato da sé stesso e dalle sue occupazioni, ordinato e con una grande visione soprannaturale; umile, forte nella preghiera, appassionato di tutto ciò che si riferisce a Dio, alla Vergine, alla Chiesa e al Papa; obbediente, sicuro nella dottrina, praticante le virtù teologali e cardinali; ogni giorno più innamorato della sua vocazione, per avvicinarsi di più al Signore e, nel Signore, alle anime. Fu di temperamento fervido e penso che lo si notava in modo particolare quando parlava di nostra Madre la Vergine, o nel descrivere la sua speranza nella visione beatifica. Tutto il suo essere respirava l’allegria di chi riceverà un tesoro, perché suo Padre glielo ha preparato. Parlavano i suoi occhi penetranti, luminosi, sereni: parlava il suo tono di voce persuasivo, caldo, di una sicurezza tangibile: parlavano i suoi gesti, che lasciavano intravedere l’unione con Dio di cui era già partecipe e che il Papa ha proclamato solennemente in piazza San Pietro il 17 maggio 1992.

Settimanale Liberal, Milano, 1 giugno 2002

Note

(1) Cfr. Gal 4, 31

(2) Amici di Dio, n. 30

(3) Fabro, C. “Il primato esistenziale della libertà”, in Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer e l’Opus Dei, Eunsa, Pamplona 1985 2, p.350

(4) Solco, n. 397

(5) Josemaría Escrivá de Balaguer e l’università, ed. cit., pp.106-107

(6) Colloqui con Monsignor Escrivà, cit., n. 67

(7) Congregatio de Causis Sanctorum, Romana et Matriten, Decretum super virtutibus heroicis in causa canonizationis Servi Dei Iosephmariae Escrivá de Balaguer, 9-IV-1990, AASS 82, 1990, pp. 1450-1455

(8) Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43

(9) Cfr. Paolo VI, Ex Ap. Evangelii nuntiandi, n. 20, AAS 68 (1976) 19

(10) Giovanni Paolo II, Omelia nella cerimonia di beatificazione di Josemaría Escrivá de Balaguer e Giuseppina Bakhita, Roma, 17-V-1992

(11) Cfr. 1Pt 2, 9

(12) Cammino, n. 204

(13) È Gesù che passa, n. 166