È la vocazione dell’uomo e una benedizione di Dio

Gilberto Balducci

“Lavoro” è una parola che occupa un posto importante nella spiritualità dell’Opus Dei. Josemaría Escrivá invitava a santificarlo ed offrirlo a Dio, come un sacerdote offre la sua Santa Messa quotidiana.

Tra le persone che hanno cercato di concretizzare questo messaggio c’è il perito industriale Gilberto Balducci, che il fondatore dell’Opera chiamava scherzosamente “Giraffone”, a causa del suo metro e novantasei d’altezza.

“Ho conosciuto l’Opus Dei nel 1960 a Milano – racconta Balducci – Nel 1963 mi sono trasferito a Roma, per lavorare nel Centro Elis (Educazione, Lavoro, Istruzione, Sport), un complesso di servizi educativi e sociali destinato alla formazione umana e alla promozione culturale e professionale dei giovani. Ancora oggi continuo a collaborare con questo centro, che si trova nel quartiere Tiburtino”.

“Che cosa sente d’aver imparato, conoscendo e frequentando il fondatore dell’Opus Dei?”

“Ho tanti bellissimi ricordi di Josemaría Escrivá e della sua straordinaria carica di simpatia e umanità. Ogni volta che mi incontrava, scherzava sulla mia altezza e mi diceva: “Scendi giù... ché voglio abbracciarti!”. Il suo messaggio più importante è stato quello della santificazione del lavoro, punto centrale nella spiritualità dell’Opus Dei, che cerchiamo di mettere in pratica all’Elis. Ricordo che poco prima della nascita di questo centro, durante una riunione, Escrivá disse a noi giovani: ‘L’Elis diventerà l’università del lavoro’”.

“Che cosa voleva dire?”

“Escrivá già vedeva quello che l’Elis sarebbe diventato. Noi, in verità, non avevamo le idee chiare. Ma, poi, a poco a poco, tutto andò delineandosi. Abbiamo cercato di concretizzare ciò che voleva il fondatore dell’Opera: un luogo che educasse alla passione per il lavoro tecnico e manuale, all’orgoglio di essere operai, alla bellezza di un lavoro ben fatto, alla voglia di collaborare con i propri colleghi”.

“E’ difficile trasmettere questi ideali ai giovani?”

“Noi chiediamo molto ai nostri allievi. Cerchiamo di abituarli a curare anche i più piccoli particolari del proprio lavoro. I ragazzi apprezzano questa serietà, perché un ambiente in cui si esige è anche garanzia di un più alto livello professionale. Ovviamente, certi valori devono essere vissuti con coerenza anche dagli educatori del centro. In questo modo, è possibile dare il buon esempio ai giovani”.

“C’è qualche episodio che può testimoniare questo spirito?”

“Vent’anni fa, un’azienda promosse un concorso per cercare nuovo personale. Per superarlo, bisognava completare un lavoro di costruzione meccanica, entro un certo tempo. Al termine della prova, il capo-officina si rivolse ad uno dei giovani operai che partecipavano e gli disse: ‘Tu hai studiato all’Elis?”. E lui rispose: ‘Sì, ma come fa a saperlo?’ L’uomo replicò: ‘Sei l’unico che ha pulito il posto di lavoro, dopo aver finito. Questo lo insegnano solo al centro Elis’”.

“Quanto c’è, in tutto questo, di Josemaría Escrivá?”

“C’è il grande rispetto che il fondatore dell’Opus Dei aveva nei confronti del lavoro. In ‘Solco’, Escrivá ha scritto: ‘Il lavoro è la prima vocazione dell’uomo, è una benedizione di Dio, e si sbagliano, purtroppo, quelli che lo considerano un castigo. Il Signore, il migliore dei padri, ha collocato il primo uomo nel Paradiso, perché lavorasse’”.

“Tutti i lavori possono essere santificati?”

“Il fondatore dell’Opera invitava a fare bene qualunque tipo di attività, e ad offrirla al Signore. Se qualcuno gli chiedeva quale fosse il lavoro migliore, lui rispondeva che era quello che veniva fatto con più amore di Dio. Ricordo un episodio molto bello, che sintetizza perfettamente questo suo pensiero. Una volta, Escrivá arrivò all’improvviso al centro Elis e fece visita ad alcune classi. I giovani avevano le mani sporche, perché stavano facendo un’esercitazione. Il fondatore prese le mani di uno dei ragazzi e le baciò dicendo: ‘Figlio mio, tu puoi offrire questo lavoro a Dio come preghiera, nello stesso modo in cui io offro ogni giorno la Santa Messa’”.

“Santificare il lavoro significa anche collaborare con gli altri?”

“Questo è un altro aspetto molto importante. A volte, in certi ambienti di lavoro, il collega viene visto come un nemico, un concorrente pericoloso. Noi, invece, educhiamo i nostri ragazzi ad operare con spirito d’amicizia e collaborazione. Anche questa è una strada per santificarsi. Escrivá diceva: ‘Quando fate il vostro lavoro ed aiutate un amico, senza che lui lo noti, lo state curando. Siete Cristo che sana’. Lavorare bene non significa chiudersi nel proprio guscio, ma imparare ad essere disponibili ed accorgersi se una persona ha bisogno del nostro aiuto”.

“Ordine, pulizia e puntualità: quanto sono importanti nella santificazione del lavoro?”

“Possono sembrare soltanto dei piccoli particolari, ma sono proprio queste cose che fanno la differenza. Contribuiscono a rendere un lavoro ben fatto. E questo è molto importante. Escrivá, in ‘Solco’, ha scritto: ‘Non si può santificare un lavoro che umanamente sia uno sgorbio, perché non dobbiamo offrire a Dio cose fatte male’”.

“Escrivá, in ‘Forgia’, ha invitato ad essere ‘ribelli’, nel senso positivo del termine, e a non ‘lasciarsi trascinare dalla corrente’. In questo senso, la santificazione del lavoro si può considerare un’autentica rivoluzione?”

“La proposta di Josemaría Escrivá, se vissuta con coerenza, può davvero cambiare il mondo. La vera rivoluzione non è quella che si fa distruggendo, ma costruendo ogni giorno, a poco a poco, con il nostro sudore. E’ necessario lavorare con serietà e sforzarsi di santificare ogni ambiente che frequentiamo. Non si lavora soltanto per guadagnare lo stipendio, ma anche per incidere in modo positivo nella società. Lasciando traccia del proprio impegno”.