L’ecumenismo è prima di tutto preghiera e carità

La teologa Jutta Burggraf sostiene in questo articolo, scritto qualche anno prima della sua morte avvenuta a Pamplona il 5 novembre 2010, che l’ecumenismo non è dottrina teologica né collaborazione pastorale, ma prima di tutto, è preghiera e carità.

La teologa Jutta Burggraf sostiene in questo articolo, scritto qualche anno prima della sua morte avvenuta a Pamplona il 5 novembre 2010, che l’ecumenismo non è dottrina teologica né collaborazione pastorale, ma prima di tutto, è preghiera e carità.

Jutta Burggraff, professoressa di Teologia Sistematica e di Ecumenismo nella Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra, ha scritto sul tema il libro “Conoscersi e comprendersi. Una introduzione all’ecumenismo”, Madrid 2003, 2ª ed. 2003 e l’opuscolo: “Ecumenismo, Che cosa è? Come lo si vive?”, Madrid 2006.

Perché la settimana di preghiera per l’unità?

Durante l’ottavario, i cristiani cattolici, ortodossi e protestanti di varie denominazioni – sparsi in tutto il mondo – sono invitati a pregare tutti insieme per l’unità. Lo dice chiaramente il lemma di quest’anno: “Pregate incessantemente”.

La settimana di preghiera si svolge dal 18 al 25 gennaio, giorno in cui la Chiesa celebra la conversione di San Paolo. La data è significativa: ci ricorda che non possiamo avvicinarci agli altri senza una profonda conversione interiore, senza cercare ognuno di noi di vivere l’intimità con Dio. In Lui un giorno saremo riuniti.

La sperata unità non sarà un risultato delle nostre forze, ma “un dono che viene dall’alto”. Il vero protagonista è lo Spirito Santo.

La sperata unità non sarà un risultato delle nostre forze, ma “un dono che viene dall’alto”. Il vero protagonista è lo Spirito Santo, che ci conduce per i suoi cammini alla maturità cristiana.

Nella preghiera incontriamo Dio ma in modo speciale anche gli altri. Quando prego per qualcuno, lo vedo con altri occhi e non più con sospetto o con distacco, ma con gli occhi di Dio. Solo così posso scoprire il bene in ogni persona, in ogni accadimento, e lasciando da parte i miei pregiudizi, posso avere simpatia per gli altri.

Quando prego per qualcuno, lo vedo con altri occhi e non più con sospetto o con distacco, ma con gli occhi di Dio. Solo così posso scoprire il bene in ogni persona, in ogni accadimento, e lasciando da parte i miei pregiudizi, posso avere simpatia per gli altri.

Pregare significa purificare il proprio cuore, di modo che l’altro vi possa avere il suo spazio. Se ho pregiudizi o sospetti chiunque vi osa entrare dentro sarà colpito duramente. Dobbiamo creare un posto agli altri dentro di noi; dobbiamo offrire loro un posto ospitale dove possano trovare il nostro rispetto e la nostra comprensione.

Se saremo capaci di ciò il dialogo sarà più autentico. A volte siamo convinti di poter nascondere facilmente i sentimenti e i pensieri negativi. Cerchiamo di salvare le apparenze, meravigliandoci se gli altri non si fidano di noi. La ragione è molto semplice: gli altri si accorgono chiaramente di quello che abbiamo nel cuore; si accorgono se li accettiamo o li respingiamo e si comportano di conseguenza. Dobbiamo scoprire l’importanza di ricercare l’unità, partendo da noi.

Si insiste molto sul “cosiddetto ecumenismo spirituale”…

Si sinsiste a ragione, perché l’ecumenismo, in primo luogo, non è una dottrina teologica e né una collaborazione pastorale, ma preghiera e carità. Così come la mancanza di amore genera la disunione, la” santità di vita” è considerata l’”anima” o il motore di tutto il movimento ecumenico.

È significativo che in ripetute occasioni il Papa Giovanni Paolo II abbia invitato persone e istituzioni diverse a una purificazione della memoria. Sappiamo bene che la memoria non è solo una facoltà che si rifà al passato, ma al contrario influisce profondamente nel presente. Ciò che ricordiamo spesso grava sulle nostre relazioni con gli altri. Se una vecchia ferita non viene dimenticata, può far sì che una persona si chiuda in se stessa; può produrre difficoltà a relazionarsi serenamente con gli altri, rendendo difficile o addirittura impossibile un’amicizia.

Lectio magistralis di Benedetto XVI su fede e ragione a Ratisbona (12-9-2006)

Tenendo presente ciò, Benedetto XVI ne ha dato esempi eloquenti: quando a causa della sua famosa conferenza a Ratisbona fu vittima di una campagna organizzata da alcuni avversari della Chiesa, non incolpò nessuno, e non solo, ma oltrepassò le regole della mera giustizia, chiedendo perdono ai musulmani per le parole che potevano averli feriti.

Possiamo essere sicuri che contribuiamo di più all’unità della Chiesa quando trasmettiamo l’amore di Dio agli altri, che quando possano fare i discorsi teologici di gente erudita dal cuore freddo.

Il Papa sta dimostrando continuamente il suo impegno ecumenico. Avverte lo stesso zelo tra i cattolici in generale?

Benedetto XVI ha affermato, sin dall’inizio del suo pontificato, che è disposto a lavorare senza risparmio di energie pur di ricostituire l’unità di tutti i seguaci di Cristo. Sta realizzando un grande lavoro ecumenico non solo con parole ma soprattutto con gesti fraterni, come ad esempio, dare considerevoli aiuti economici al patriarcato moscovita per la ricostruzione della Cattedrale dedicata alla Trinità in San Pietroburgo. E nonostante le difficoltà esistenti attualmente tra gli anglicani e cattolici per questioni di carattere teologico ed etico, ha firmato, da più di un anno, una incoraggiante dichiarazione congiunta con il primate della Comunità anglicana.

Cardinale Kasper

I cattolici si stanno familiarizzando sempre di più con la sfida che l’unità dei cristiani comporta. Comprendono meglio di prima ciò che afferma il Cardinal Walter Kasper, e cioè che: “l’Ecumenismo non è una scelta opzionale ma un dovere sacro”. Molti di essi hanno partecipato all’Assemblea ecumenica europea, svoltasi nel settembre dello scorso anno a Sibiu-Hernannstadt (Romania), dove oltre ai colloqui ufficiali, vi sono stati incontri molto partecipati dei nuovi movimenti interessati al lavoro ecumenico, come quello di Stuttgart nel 2004 e nel 2007.

Inoltre ci si rende conto – e anche il Papa insiste su ciò – che il dialogo ha diversi livelli o “settori”. Bisogna cominciare a partire da “casa propria”, e poi dagli stessi cattolici che devono conoscersi per capirsi meglio. Non dobbiamo escludere dalla nostra attenzione e dal nostro affetto le persone di altre comunità cattoliche: nella nostra Chiesa coesistono molte e differenti spiritualità.

Allo stesso tempo noi cattolici dobbiamo essere ben coscienti che il dialogo va molto al di là dell’ecumenismo; è rivolto ai seguaci di altre religioni e al mondo secolarizzato, dove ci attende un compito immane che possiamo affrontare solo se siamo uniti: con Dio e noi cattolici con tutti i cristiani.