Con mio fratello Josemaría a Madrid (1927-1937)

Santiago Escrivá (1919-1994) era il fratello minore del Beato Josemaría. Dopo la morte del Fondatore dell’Opus Dei scrisse i suoi ricordi sul fratello perché fossero utilizzati nella Causa di Canonizzazione. Da quei ricordi sono stati tratti i paragrafi qui riportati.

Santiago Escrivá (1919-1994) era il fratello minore del Beato Josemaría. Dopo la morte del Fondatore dell’Opus Dei scrisse i suoi ricordi sul fratello perché fossero utilizzati nella Causa di Canonizzazione. Da quei ricordi sono stati tratti i paragrafi qui riportati. Carmen era la sorella maggiore.

Nel marzo del 1927, quando Josemaría andò a Madrid, mia madre, Carmen e io ci trasferimmo a Fonz. Josemaría ci salutò a Saragozza e sebbene io non sappia esattamente quando partì per Madrid, immagino sia stato lo stesso giorno o, al più tardi, il giorno dopo.

Josemaría Escrivá con il piccolo Santiago

Da marzo fino all’autunno del 1927 abbiamo vissuto a Fonz, in casa dello zio Teodoro. (...) Speravo che Josemaría venisse a farci visita, ma non fu così. Il desiderio che venisse mi faceva sognare di vederlo arrivare su di un cavallo bianco. Comunque non si dimenticava di me: tutte le settimane mi inviava per posta dei giornalini a fumetti. Appena sentivo arrivare il postino — lo chiamavano il Pedone — scendevo e prendevo il mio pacco di fumetti e "El Debate" dello zio Teodoro, che leggevo anch’io. Talvolta, per l’impazienza, andavo direttamente io alla posta.

Alla fine del 1927 mia madre, Carmen e io andammo a Madrid. Josemaría ci venne a ricevere alla stazione e ci portò nell’appartamento che aveva preso in affitto in via Fernando il Cattolico. (...) Quell’anno accompagnai molte volte Josemaría in giro per Madrid; mi portò a visitare tutti i musei. L’anno seguente mi iscrissi alla scuola dei Padri Maristi.

Regali di prima comunione

Quando venne il momento fu Josemaría ad amministrarmi la Prima Comunione. Non ricordo dove fu; senza dubbio una cappella, ma non so dire se era quella di un Ospizio o di un Convento. So soltanto che era un luogo molto vicino a dove vivevamo, a tre o quattro minuti di cammino, e nel quale abitualmente andavamo a Messa. Non mi vestii “alla marinara”, perché a lui non piaceva. Per la prima Comunione, Josemaría mi regalò una serie di romanzi di Salgari e di Giulio Verne; però siccome io sapevo da tempo dove li conservava, li avevo già letti di nascosto.

A Josemaría piaceva molto leggere. Ricordo che aveva letto tutti i romanzi di Giulio Verne. Le sue letture più importanti furono i Classici spagnoli e gli autori del secolo XIX spagnoli, francesi o inglesi.

Josemaría dava molte lezioni private, alcune nella casa di via Fernando il Cattolico. Veniva a ricevere lezioni una ragazza e Josemaría faceva in modo che mia madre, che nel frattempo cuciva, fosse sempre presente. Dava lezioni anche a ragazzi un po’ più grandi di me, che noi chiamavamo “quelli della prozia", perché li accompagnava una loro prozia molto simpatica, di cui non ricordo il nome, che diventò molto amica di Josemaría.

Josemaría si prendeva molta cura di me. Mi portava a passeggio quando aveva qualche momento libero, soprattutto la domenica. A volte mi portava a fare merenda al Sotanillo, dove si incontrava con i ragazzi coi quali faceva apostolato. Io non mi rendevo molto conto del lavoro che faceva, però ero lì.

La guerra civile

L’11 maggio 1931 furono incendiati i conventi a Madrid e dovemmo lasciare il Patronato. Accompagnai Josemaría a portare il Santissimo dalla cappella del Patronato in via Nicasio Gallego, a casa di Pepe Romeo, in via Santa Engracia, all’angolo con via Maudes, quasi a Cuatro Caminos. Forse ci accompagnò anche Cortés Cavanillas, ma non mi ricordo. Andammo sicuramente a piedi, perché ricordo la confusione, la gente tutta per strada, ecc. Josemaría era in borghese, con un abito procuratogli da Pepe Romeo e con una basco che gli copriva l’ampia tonsura che aveva a quel tempo. Per le strade era possibile circolare perché, nonostante il clima rivoluzionario, l’agitazione era focalizzata attorno agli edifici religiosi (...) Poi salimmo in terrazza a guardare gli incendi.

Nella casa di via Martínez Campos, in seguito venivano spesso vari ragazzi che frequentavano Josemaría. Io andavo a comprare frittelle per la cioccolata che preparava Carmen. Anche mia madre collaborava con piacere. Fu in quell’epoca probabilmente, che dissi la frase "i ragazzi di Josemaría si mangiano tutto", come qualcuno mi ricorda.

Isidoro Zorzano

Ricordo anche Isidoro Zorzano, che studiò con Josemaría gli ultimi tre anni di Liceo all’Istituto di Logroño. Era solito raccontare che lo colpiva vedere che mio fratello studiava normalmente, senza sforzi speciali, e otteneva sempre ottimi voti. Lui, invece, doveva passare ore e ore a studiare per avere voti appena sufficienti.

Ricordava che Josemaría imparava e teneva a mente le cose con grande facilità e che poteva dedicare del tempo a letture non direttamente collegate alle materie, con le quali andava completando la propria formazione umanistica.

In quell’epoca andai, con Josemaría e altri ragazzi, a Vallecas o a Tetuán. Non posso stabilire con precisione la data, ricordo però che ero ancora piccolo. Di sicuro era quando vivevamo in via José Marañón o forse già in via Martínez Campos. Era una zona piena di baracche. Facevamo lezioni di catechismo. Portavamo anche dei pranzo al sacco.

Nella legazione dell’Honduras

Alcuni mesi dopo l’inizio della guerra, José María González Barredo ci trovò rifugio nella Legazione dell’Honduras e fece in modo che Josemaría e io ci potessimo rifugiare lì dentro. Vennero a prenderci con l’auto del consolato. Andammo direttamente nella Legazione dell’Honduras. Era un’auto piccola, con la bandiera dell’Honduras. Portavamo con noi tutte le valigie. Passammo facilmente i controlli di ingresso a Madrid perché, nonostante non avessimo alcuna documentazione, fece impressione l’automobile con la bandiera azzurra e bianca.

Josemaría nei primi giorni celebrò la Santa Messa nella hall del Consolato, finché il Console disse che era pericoloso, e lo vietò. Mio fratello riuscì persino a predicare qualche meditazione, alla quale assistevano quelli che lo desideravano. Quando il Console lo vietò, Josemaría celebrava nella nostra stanza e predicava abitualmente la meditazione ai cinque che stavamo con lui. Ricordo che qualche volta si ammalò. Ebbe attacchi di reumatismi, ma immagino che influisse lo stato di inattività in cui ci trovavamo tutti, perché mangiavamo pochissimo. Josemaría meno degli altri; certi giorni non mangiava nulla o quasi nulla, penso come mortificazione da offrire a Dio.

Alla fine di agosto, anche Josemaría poté uscire dalla Legazione grazie a una documentazione datagli dal Console. Ricordo che portava un braccialetto coi colori della bandiera dell’Honduras. Venne qualche volta a farci visita nell’appartamento di via Caracas. Per un mese e mezzo si spostò da una parte all’altra di Madrid, finché non partì diretto a Valencia e a Barcellona, verso la frontiera francese. Viveva in una soffitta di una casa di via Ayala. Non so di chi fosse, né sono in grado di dire adesso quale casa fosse. Ricordo soltanto che pochi giorni dopo il passaggio di Josemaría, ci andai con Isidoro a prendere le cose che avevano lasciato, e vidi che era caduta una bomba proprio nella stanza che usavano loro. Fra le cose che prendemmo ricordo un’immagine della Madonna che custodii per il resto della guerra e restituii a Josemaría quando me la chiese; adesso è a Roma, sul tavolo su cui lavorava abitualmente.

Dalla testimonianza di Santiago Escrivá de Balaguer, Notiziarion. 32